Paura, ansia, preoccupazione. Sono queste le parole ripetute maggiormente dai giovani nel sondaggio realizzato per ScuolaZoo. È la generazione Z a parlare, soprattutto di futuro. Come Omar Jaafari, 19 anni, che dice: “Viviamo un senso di precarietà che significa non sentirsi mai all’altezza. E non per colpa nostra”. O come Andrea De Amicis, che studia ingegneria informatica: “Pesa quella sensazione di sentirsi fuori luogo, fuori posto, di non capire se si è fatta la scelta giusta”.
Il futuro è incerto. Non solo perché, come è giusto e normale che sia, non sappiamo cosa porterà con sé. Ma anche perché viene continuamente messo in discussione. Un quinto degli intervistati si sente confuso. Sballottato da una parte all’altra. La maggior parte dei giovani non si sente influenzata da nessuno, se non dai social, che contano di più dei genitori nell’educazione. Anche se sono gli stessi ragazzi ad ammettere che “nei social tutto è distorto, ma non tutti riescono a fare questa distinzione tra virtuale e reale”. I giovani - soprattutto quelli nati tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, come scrive Repubblica - sono “preoccupati (...) dalle guerre, dai cambiamenti climatici, dalla precarietà”. In una parola: dalla realtà. È questa a mandarli maggiormente in crisi, quando invece dovrebbe essere una possibilità di crescita. Un’occasione per tirar fuori il meglio di sé. Perché nella storia dell’uomo non ci sono state età dell’oro. Ogni epoca ha avuto le sue guerre, i suoi cambiamenti (climatici e non) epocali, le sue sfide. Ciò che fa la differenza è l’approccio di fronte ad esse. E il non farsi prendere dall’ansia, una particolare forma di paura che rappresenta uno dei grandi mali dei nostri tempi. Scrive il dottor Roberto Marchesini in un libro che non poteva non chiamarsi Mio Dio, che ansia! (Il Timone): “Proviamo ansia in ogni situazione nuova, in situazioni dove c’è la remota possibilità di farsi del male, di provocare o subire un incidente, di stare male, di scontentare qualcuno… Talvolta non si capisce nemmeno da cosa è provocata, tanto è continua; in questo caso la chiamiamo ‘ansia generalizzata’. Paradossale: abbiamo lasciato le redini della biga all’ansia perché non sopportavamo di dover lottare per ridurla all’obbedienza, pensando di risolvere il problema. In realtà ne abbiamo creato uno peggiore. Adesso la tensione è continua e insopportabile”.
A questo punto, però, è troppo tardi. O almeno così sembra. Proviamo quindi a evitare le situazioni che ci creano tensioni, ad avere (ed è impossibile) il controllo su tutto e ad elaborare dei rituali, che ovviamente non funzionano. Panico. Cosa può aiutarci ad uscire dall’abisso dell’ansia? L’idea che esista un fine. Anzi: un Fine. Perché o accettiamo che tutto sia casuale, e allora nulla avrebbe senso, oppure è bene iniziare a pensare che la nostra vita ha un senso perché è tesa ad Altro. O almeno dovrebbe esserlo. Solo così possiamo iniziare a credere che le disgrazie, più o meno gravi, che ci colpiscono (o alle quali contribuiamo, perché siamo liberi di scegliere tra il bene e il male) possono essere delle occasioni. E, soprattutto, possiamo iniziare a viverle come tali. Come un modo per migliorarci e, quindi, per crescere.
Il Ceo di ScuolaZoo parla di “un’epoca di incertezza senza precedenti”. Ma non è affatto così. Non possiamo paragonare i nostri tempi a quelli di chi viveva, per esempio, tra le due guerre mondiali. O nell’epoca antica o nel tanto (a torto) vituperato Medioevo. Viviamo nell’epoca del benessere. Almeno in quest’angolo di mondo, la gran parte delle persone riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Spesso viviamo di superfluo (guardiamo il telefono che portiamo in tasca) o di acquisti che facciamo rigorosamente con un clic. Non è dunque un problema di benessere. Ma di essere: non sappiamo più perché siamo al mondo e qual è la nostra vocazione.
Repubblica esulta di fronte ai dati di ScuolaZoo e titola: Giovani e futuro, la generazione Z boccia la famiglia tradizionale. E solo il 35% dichiara di voler figli. Come a dire: finalmente sono arrivati i risultati (sperati) di decenni di propaganda contro la famiglia, che è ormai giudicata obsoleta. Il quotidiano progressista titola così un paragrafo dell’articolo: Le coppie omosessuali devono poter adottare.
Il lettore strabuzza gli occhi, salvo poi leggere: “Soltanto il 10,48% dei giovani si è detto d’accordo con questa politica”. Il restante 89,52 non lo è. Ma Repubblica non lo scrive. I giovani, quando sono “reazionari”, non piacciono più e, per non andare in ansia, è meglio cambiare la realtà. Anche solo con un titolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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