Nella sfida al piano Rubalcaba batte nettamente Mehldau

VicenzaÈ sempre bello il festival internazionale Vicenza Jazz diretto da un musicista eccellente come Riccardo Brazzale, e si vede. Giunto alla quindicesima edizione, si è tenuto nella settimana centrale di maggio che gli garantisce giusta distanza dal baccanale delle manifestazioni di luglio, pur ponendogli qualche difficoltà nella ricerca di musicisti all’altezza delle tradizioni. Ha affrontato bene la crisi che affligge la cultura e non ha rinunciato al suo Quaderno del Jazz, quasi 100 pagine che illustrano con articoli e saggi storici il tema dell’anno. Questa edizione ha proposto «Allonsanfàn», cioè la Francia come culla del jazz europeo. I due principali concerti dedicati all’argomento, entrambi assai ammirati, hanno avuto come protagonisti il fisarmonicista Richard Galliano con l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza e la pianista Rita Marcotulli, che con il suo gruppo ha reso un omaggio multimediale al regista da lei prediletto, François Truffaut.
La coincidenza, o quasi, dell’orario di due concerti in programma ogni sera ha creato alcuni problemi agli ascoltatori desiderosi di non perdere nulla. Ma sarebbe inutile cercare cavilli in una rassegna ben riuscita, che ha dato spazio a pregevoli musicisti italiani fra i quali Francesco Cafiso, Roberto Gatto, Danilo Rea, Giovanni Falzone, Paolo Damiani, oltre all’ottimo gruppo «misto» di Aldo Romano, Fabrizio Bosso, Henry Texier e Geraldine Laurent in onore dell’indimenticabile Don Cherry. E che si è conclusa con il festeggiatissimo trio del batterista Jeff Ballard e con un’insolita produzione: il «ripensamento», curato dal chitarrista e direttore Roberto Spadoni, di Pierino e il Lupo di Sergej Prokofiev. Voce recitante di Elio (Stefano Belisari per l’anagrafe), vale a dire il leader delle Storie Tese assai brillante in questo ruolo per lui non nuovo, musica eseguita dall’Orchestra jazz dei Conservatori del Veneto diretta dallo stesso Spadoni.
Altri concerti richiedono qualche parola in più. Gli esperti hanno accolto con un’ombra di perplessità il duo del pianista Brad Mehldau e del sassofonista Joshua Redman, seppure molto applauditi, perché li vorrebbero più impegnati e incisivi nell’improvvisazione e, per quanto riguarda Mehldau, senza pericolosi caprices d’artiste. Il quartetto di McCoy Tyner si regge sulla bravura del sassofonista Gary Bartz e del contrabbassista Gerald Cannon. Purtroppo Tyner non riesce più a celare il suo precario stato di salute: il vigore e la precisione del sommo pianista non ci sono più, ma gli siano riservati affetto e riconoscenza per il suo grande passato. Impressionante è il piglio giovanile del batterista «melodico» Roy Haynes, 84 anni appena compiuti: ha mantenuto quasi intatto il suo impeccabile stile, ma si porta appresso tre sodali dappoco che hanno deprezzato il concerto.

Il vertice assoluto del festival si deve invece al pianista cubano Gonzalo Rubalcaba in solo, che appunto nel solismo ha trovato la sua vera dimensione: ha tecnica, tocco, tatto e rara fantasia improvvisativa. Magnifico.

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