Nella "Terra bruciata" di Ballard troviamo i nostri incubi peggiori

Il visionario scrittore inglese ha anticipato il genere apocalittico-ecologista. Insinuandosi nella psiche del lettore

Nella "Terra bruciata" di Ballard troviamo i nostri incubi peggiori
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Il filone apocalittico-ecologista è stato spolpato nell'ultimo decennio, al punto che si potrebbe credere esaurito. Forse è così, in attesa di essere smentiti da un capolavoro, possiamo recuperare Terra bruciata di James Ballard. C'è chi vorrebbe far rientrare Ballard nel genere fantascientifico ma non è proprio il caso e la migliore dimostrazione è proprio questo romanzo lontano dagli stereotipi di qualsiasi genere. Certo, c'è una solida trama fantascientifica che possiamo riassumere così: la Terra è in preda a una siccità devastante, gli oceani e i fiumi si ritirano, gli uomini corrono verso la costa e per dieci anni si adattano a vivere con la poca acqua ricavata dal mare. Il mondo è una distesa di polvere che diventa una distesa di sale nei pressi delle gigantesche spiagge. Ci sono piccole colonie e insediamenti più o meno solitari. La tecnologia è scomparsa o quasi. L'orizzonte è costellato di colonne di fumo che si levano dai rudimentali impianti di desalinizzazione. La violenza è un'opzione per impadronirsi dello stretto necessario per sopravvivere. Una leggenda però inizia a diffondersi. Di notte, dal greto disseccato di un fiume, si levano i ruggiti di leoni selvaggi. Ci deve essere dunque una fonte anche all'interno. Un gruppo di sopravvissuti decide di incamminarsi e tornare nella città da cui erano partiti. Qualcuno li osserva. La fine del viaggio riserva molte sorprese.

Non manca dunque la tipica avventura. Ma Ballard spinge il pedale dell'acceleratore fino in fondo. A stento ci informa su cosa abbia causato l'apocalisse. Non è così importante stabilire se l'umanità abbia dato una mano al riscaldamento globale. A Ballard interessa altro. Il panorama dialoga con l'inconscio dei personaggi. Ne è la causa e insieme lo specchio. La aridità, la polvere, le accecanti distese di sale, i laghi brillanti per i riflessi delle lische dei pesci: sono luoghi fisici ma riflettono anche gli stati d'animo. Il ritmo ipnotico e la attenta scansione in capitoli di lunghezza diseguale lanciano un sortilegio che non lascia scampo al lettore. Da un lato, Terra bruciata è avvincente, dall'altro è disturbante. Anzi, è avvincente in quanto disturbante: si attende qualcosa, un evento, una frase, una scoperta che rompa la tensione.

È quello che accade sempre con il miglior Ballard. Nato a Shanghai nel 1930, morto a Shepperton nel 2009, lo scrittore inglese ha saputo trasformare in narrativa (e saggistica) i sogni e soprattutto gli incubi. La sua opera è enorme, va dalla fantascienza al giallo, e conta innumerevoli capolavori, dall'autobiografico L'Impero del Sole, portato al cinema da Steven Spielberg, agli ultimi ma eccezionali romanzi ovvero la tetralogia di Cocaine Nights passando per Crash, altro libro finito sul grande schermo grazie a David Cronenberg. Tra le opere imprescindibili, c'è l'inclassificabile La mostra delle atrocità, prefazione di William Burroughs, che vide il suo unico erede in Ballard, per quanto diverso come stile. La mostra delle atrocità è una fantasmagorica messa in scena di come i media influiscono sul nostro inconscio e viceversa. Su questi temi, Ballard ha anche prodotto una consistente saggistica, solo in parte tradotta in italiano. Peccato per queste lacune. Che Ballard sia un peso massimo del Novecento, è ormai cosa fuori discussione anche nel nostro Paese, come testimoniato dall'attenzione degli altri scrittori, più che dei critici. Ne è ottima prova il recente Ballardland (Italosvevo) di Michele Neri, un'appassionata e documentata ricostruzione del mondo di Ballard e del suo doppio: gli anfratti oscuri dell'anima dei lettori.

Se Terra bruciata incontrerà il vostro favore, potrete felicemente passare agli altri romanzi del ciclo apocalittico: Il vento dal nulla, Il mondo sommerso e Foresta di cristallo. Ogni volume gira intorno a un elemento, il fuoco, l'aria e così via.

Se dovete sceglierne uno solo, che sia Il mondo sommerso: Ballard tira fuori tutto il potenziale simbolico dell'acqua, a partire dalla relazione con il liquido amniotico e consegna al lettore poco più di cento pagine indimenticabili. Kevin Costner ne tirò fuori Waterworld, che fu un flop disastroso perché il film si fissava sulla trama. Ma come avrete capito, non è per quella che si resta stregati da James Ballard.

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