Il crepuscolo dei pensieri (Adelphi; inedito in Italia) di Cioran fu pubblicato nel 1940, ed è l'ultimo testo presentato nella lingua materna, il rumeno, se si esclude Il breviario dei vinti, tenuto però nel cassetto fino al 1993.
Entrare in questo mondo organizzato intorno ad aforismi, significa lasciarsi stordire (e perciò, rapire!) da un profluvio di pensieri urticanti che sintetizzano, pur nella fugacità di giudizi asciutti e corrosivi, una visione della vita, una poetica che sperimenta il lirismo e una peculiare filosofia. I temi sono quelli cari a Cioran. Su tutti, il nichilismo in ogni sua declinazione, di fronte al quale il dato esistenziale risulta privo di significato e qualsivoglia progetto destinato a fallire. In questo senso, anticipando di qualche decennio Marc Augè che, però, focalizzerà le sue analisi sul dato antropologico e su spazi impersonali e alienanti ma ridotti, Cioran inaugura uno schema interpretativo totalizzante: «Il mondo non è che un Non-luogo universale. Ecco perché non si ha un posto dove andare, mai... ». Ed ecco perché nascere sarebbe il più grande dei mali. Addirittura, «una catastrofe» che albergherebbe nella immutabilità della condizione e che nemmeno l'idea di progresso e di redenzione storica potrebbe temperare: «Ciò che rende le grandi città così tristi è l'aspirazione di ogni uomo a essere felice, mentre le probabilità di esserlo si riducono a mano a mano che cresce il desiderio».
La verità fondamentale coinciderebbe con il Nulla e con una irriducibile mancanza di senso, e l'esistenza un fardello personale insostenibile: «Potete tranquillamente dire che l'universo non ha alcun senso. Nessuno se la prenderà. Ma provate ad affermare la stessa cosa di un individuo qualsiasi; questi protesterà, e si adopererà per farvela pagare. Tutto il segreto della vita si riduce a questo: essa non ha alcun senso, eppure ognuno di noi gliene trova uno».
Non si tratta solo di un vuoto temporaneo ma rivelazione di una più genuina assenza di significato e di una forma di consapevolezza tragica che fa percepire la vita nella sua nudità essenziale non offrendo mai almeno all'apparenza - una di fuga («Per non annoiarsi bisogna essere santi o stupidi, a tal punto la vacanza essenziale della coscienza definisce la condizione umana»). Eppure, come scrive Guido Ceronetti, «leggere Cioran è avvertire la presenza di una mano tesa, afferrare una corda gettata senza timidezza, avere alla propria portata una medicina non sospetta».
Se infatti l'altro assillo di Cioran è il tempo, quella sorta di male incurabile che ha «sostanza demoniaca», il suo
continuo indugiare su concetti quali Dio, arte, musica, amore o mare, svela un delirio ragionato che strizza l'occhio ad un bonario sarcasmo, che pure quando infierisce e invita alla resa incondizionata, vuole indicarci una via.
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