Non bastano altri 300 morti per fermare Assad

Non bastano altri 300 morti per fermare Assad

Sembrava la risoluzione perfetta. Una risoluzione preceduta, 12 ore prima, dalle voci del massacro di Homs dove i mortai dell’esercito governativo avrebbero massacrato, secondo l’opposizione siriana, più di 300 civili. Ma Mosca e Pechino stavolta non ci stanno. A differenza di quanto successe un anno fa con la Libia fanno entrambi valere il proprio diritto di veto. Scelgono di far infuriare Obama che poco prima del voto definisce il presidente Assad «indegno di guidare il Paese». Scelgono di bocciare la risoluzione che chiede le dimissioni del presidente siriano Bashar Assad. Scelgono di dividere il mondo di riportarlo all’epoca della guerra fredda. A guidare il grande balzo all’indietro c’è soprattutto la Russia.
Mosca non ha mai digerito l’«inganno» di un anno fa quando venne convinta a far passare la risoluzione che portò prima all’intervento Nato e poi alla caduta del regime di Gheddafi. Già venerdì - alla vigilia del voto del Consiglio di Sicurezza - Mosca fa capire di non aver intenzione di cedere. L’ambasciatore Russo al palazzo di Vetro Vitaly Churkin liquida come uno «scandalo» la risoluzione scritta da Francia e Inghilterra e basata sulla proposta della Lega Araba, che prevede il passaggio dei poteri ad un governo provvisorio guidato dal vice presidente siriano Farouk Al Shara.
La Russia resta ferma sulle proprie posizioni, anche ieri mattina quando le agenzie battono le notizie sul massacro di Homs diffuse dall’Osservatorio Siriano per i diritti Umani di Londra. A Mosca sanno bene che dietro al gruppo, fondato dai dissidenti siriani a Londra, c’è il National Endowement for Democracy, un think tank finanziato dal dipartimento di stato americano.
Per i russi quel massacro - di cui trapelano poche e incerte immagini - ricorda troppo da vicino la controversa strage di Rachak che diede il via all’intervento Nato in Kosovo. E così l’incontro di ieri mattina tra Hillary Clinton e il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, fissato per raggiungere un’intesa dell’ultimo minuto, si trasforma in uno scontro frontale. Lavrov pretende delle modifiche alla bozza di risoluzione che mettano sullo stesso piano le violenze commesse dal regime e dai ribelli e che chiedano anche all’opposizione la fine di ogni azione armata . Hillary, reduce dalla figuraccia di martedì quando tentò inutilmente di far votare al Consiglio di Sicurezza, la stessa risoluzione s’intestardisce, fa la faccia dura. Ma trova pane per i propri denti. La Russia non ha nessuna intenzione di accelerare una capitolazione di Bashar Assad che la costringerebbe a rinunciare all’uso del porto di Taurus, ultima sua base nel mar Mediterraneo, e a dire addio a qualsiasi influenza politica in Medioriente.
Ma soprattutto non ha nessuna voglia di dare il via libera ad una risoluzione che potrebbe essere replicata paro, paro qualora le proteste contro Vladimir Putin aumentassero d’intensità. A quel punto l’Amministrazione Usa tenta di metter con le spalle al muro la Russia, facendole capire che un veto la renderà complice dei massacri attribuiti al regime siriano. Pochi minuti prima del voto Obama se ne esce allo scoperto accusando Assad di dimostrare «disprezzo per la vita umana e la dignità» e intimandogli di «lasciare subito e consentire una transizione democratica».
A Obama s’accoda Alain Juppè. «Bombardando Homs, Damasco ha fatto un passo ulteriore nella barbarie, chi ostacola la risoluzione al Consiglio di sicurezza sulla Siria – dichiara il ministro degli esteri francesi - s’assumerà responsabilità storiche».
Quel minuetto, così simile al preludio dell’intervento Nato in Libia, non fa che rafforzare i dubbi di Mosca e confermare la diffidenza di Pechino verso ogni interferenza esterne. E così al Palazzo di Vetro va in scena un voto che trasforma la Siria nella prima linea di tutte le contrapposizione internazionali. Dietro a quei tredici voti a favore e al doppio veto russo-cinese si nasconde la sintesi di tutte le contrapposizioni che lacerano il pianeta e il Medioriente.
Dietro al niet di Russia e Cina gongola l’Iran ben felice d’un voto che l’aiuta a sostenere la pedina siriana e a contrapporsi al Grande Satana americano e al piccolo Satana israeliano. Dietro alla fallimentare mozione si nasconde il gioco di una Casa Bianca pronta - come in Libia, Egitto e Tunisia - ad appoggiare l’emergere del movimento islamista pur di contrapporsi a Teheran e mantenere un minimo d’influenza nella zona mediorientale. Dopo la debacle della mozione al Consiglio di Sicurezza resta da capire l’effettiva consistenza del massacro denunciato dall’opposizione ad Homs.


I massacri mai provati del conflitto libico e le false notizie sulle fosse comuni piene di oppositori attribuite al regime di Gheddafi hanno insegnato a tutti che certe notizie hanno bisogno di tempo per poter esser valutate. Soprattutto quando c'è di mezzo il voto di una risoluzione cruciale.

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