Los Angeles - Emeryville, California, una cittadina industriale nella baia di San Francisco collegata alla metropoli dal Bay Bridge. È qui, sul campus della Pixar, che sono nati i capolavori incontestati dell'animazione computerizzata: Toy story, A Bug's life, Monster's Inc., Finding Nemo, The Incredibles, Cars, Ratatouile, Wall-E, Up. L'immenso atrio da cui si accede è concepito come una piazza cittadina: un punto d'incontro e di relax con bar, mensa, forno a legno per la pizza, biliardo e giochi elettronici a volontà. L'atrio ha un soffitto di vetro sostenuto da travi di legno, una scelta architettonica che simbolizza il motto «the sky is the limit», l'unico limite è il cielo, scelto da Steve Jobs, big boss della Pixar e fondatore della Apple, che nell'86 rilevò la divisione di computer graphics della Lucasfilm di George Lucas e la ribattezzò Pixar.
Lontani da Hollywood e dalla sua ossessione per cinema e look, gli impiegati della Pixar vivono in un ambiente più eterogeneo e stimolante, aperto ad altre culture e professioni. Più che artisti o geni del computer sembrano studenti o rockettari, e schizzano per i corridoi su velocissimi monopattini. Ma le apparenze ingannano: molti dei creativi che lavorano qui hanno in tasca lauree in matematica, scienza, ingegneria o arte delle migliori università. E proprio come un college la Pixar offre a tutti i suoi impiegati - segretarie, contabili e addetti stampa inclusi - quattro ore di corsi settimanali a scelta, dal canto alla cucina, dal ballo all'ikebana, dalla scrittura alla musica, oltre che corsi più ortodossi come storia del cinema o recitazione. Il campus è pieno di pupazzi, schizzi, e quadri che rappresentano i personaggi più amati dello studio. Una galleria del complesso è riservata alle produzioni artistiche personali degli impiegati: disegni, fotografie, collages, sculture. Creatività e benessere dei collaboratori chiaramente rendono: in quindici anni la Pixar ha accumulato ventiquattro Oscar, per film, cortometraggi e innovazioni tecnologiche, e 5.5 miliardi di dollari al box office.
A undici anni da Toy story 2, la Pixar ci propone oggi Toy story 3, la Grande Fuga, in 3D, in uscita negli States il 18 di giugno e il 7 luglio in Italia. È diretto da Lee Unkrich: «Il primo Toy story, del '95, è quello che ha battezzato la nostra compagnia - dice il regista -. Una scelta non casuale, poiché allora la tecnologia non ci permetteva di ricreare acqua, fuoco, la pelle umana o la pelliccia di animali, tutte cose che abbiamo introdotto dopo. Ecco il perché dei giocattoli. Ma oggi le cose sono talmente cambiate che non riuscivamo nemmeno più ad aprire i file dei personaggi originali, e abbiamo dovuto ricostruirli e ridisegnarli nel computer. Ne abbiamo così approfittato per fare dei leggeri cambiamenti, aggiungere dei dettagli, ma niente chirurgia plastica esagerata. È solo che siamo dei perfezionisti e amiamo così tanto il nostro lavoro che vogliamo sempre migliorarci. Qui da noi c'è un detto, che i nostri film non sono mai finiti, hanno semplicemente una data di distribuzione».
Il nuovo Toy story è, come Up dello scorso anno, presentato in 3D. «Ma non abbiamo aggiunto nessun effetto speciale per sottolineare questa tecnologia - dice Unkrich -. I nostri film hanno già tutti la profondità di campo e la dimensionalità necessarie al 3D, e non vogliamo aggiungere trovate che distoglierebbero solo dalla storia».
In questo nuovo film i giocattoli, orfani di Andy che sta per andare al college, finiscono per sbaglio in un asilo controllato da una gang di giocattoli cattivi. Accanto ai classici Woody (Fabrizio Frizzi nella versione italiana, Tom Hanks in quella originale), Buzz Lightyear (Massimo Dapporto/Tim Allen) troviamo nuovi personaggi, tra cui spicca uno spassoso Ken, l'accessorio preferito di Barbie, interpretato da Michael Keaton e doppiato da Fabio De Luigi. «Non so perché abbiano scelto me, forse per il mio senso dello stile?», scherza Keaton, impeccabile in completo blu, alludendo a una sequenza in cui Ken sfoggia tutti gli improbabili costumi del suo guardaroba.
Toy story 3 ha necessitato di quattro anni di lavoro, per un totale di quattrocento collaboratori. Ma come ogni opera monumentale, anche questa è iniziata a piccoli passi. «Tutti i nostri film - dice Unkrich - nascono da un pitch, uno spunto, che viene poi visualizzato con decine di migliaia di vignette disegnate a matita per creare lo storyboard.
Le vignette vengono poi colorate per stabilire il giusto look. Una volta decisa la storia, i designer creano i vari personaggi, che vengono poi modellati in argilla fin nei minimi dettagli, e infine scannerizzati e inseriti nel computer, dove i nostri animatori danno loro vita».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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