Olmert studia da leader

Il capodanno ebraico che coincide quest'anno con l'inizio del Ramadan ha in comune col mese sacro musulmano l'invito ai fedeli a fare un esame di coscienza per gli errori passati nella speranza del perdono e dell'aiuto divino nel futuro. I temi di riflessione per l'opinione pubblica israeliana non sono mancati ma neppure la messa in evidenza dei loro contrasti.
C'è un governo delegittimato dal Paese per la condotta della guerra in Libano ma saldo al potere; uno Stato maggiore militare colpevole di essersi fatto sorprendere impreparato e arrogante e che in 14 mesi è riuscito a ricostruire in silenzio il suo deterrente nucleare, riorganizzare il suo intelligence, portare a termine spericolate operazioni nel cuore dello schieramento nemico a Gaza (col rapimento di uno dei capi militari di Hamas) e nel Libano (con una operazione aerea in Siria) che potrebbe aver distrutto gli stock di armi non convenzionali venduti dalla Corea del Nord agli Hezbollah. C'e un Paese che continua pubblicamente a stracciarsi gli abiti per il divario fra poveri e ricchi e una economia che si sviluppa a ritmo asiatico; c'è una società stanca della guerra, che secondo i media attraversa un lungo periodo di depressione, di autodenigrazione e di paura per lo scoppio di tensioni etniche e ideologiche ma nella quale secondo la più recente e autorevole inchiesta di opinioni (Yediot Aharonot, 7/9/07) l'86% degli abitanti si dichiara in «buono stato d'animo», 67% contenta della propria situazione economica, 74% convinta che Israele esisterà «nel lontano futuro», 76% non disposta a emigrare, 84% orgogliosa di essere israeliana.
L'esempio più rappresentativo di questo stato paradossale è il primo ministro Olmert stesso. Se nessuno mette in dubbio le sue capacità di sopravvivenza politica, pochi sono disposti ad ammettere che potrebbe rivelarsi, con un po' di fortuna, uno dei migliori leader di Israele. Anzitutto perché nell'ira suscitata dal fallimento degli scopi esageratamente ambiziosi - suoi e del pubblico - nella guerra del Libano, vengono dimenticati gli errori dei suoi più famosi predecessori. Ad esempio il fallimento di Ben Gurion nella guerra d'Indipendenza del 1948 di ottenere il riconoscimento internazionale dei confini dello Stato e gli errori da lui commessi nella guerra del 1958 alleandosi - contro l'opinione del suo capo di Stato maggiore Moshe Dayan - con il colonialismo anglofrancese e ritirandosi da tutti i territori conquistati senza aver praticamente ottenuto alcuno degli scopi proclamati inclusa la caduta di Nasser. Eppure fu ancora lui a vincere trionfalmente le elezioni del 1959. Quanto alle responsabilità del Governo della Signora Meir nella guerra del 1973, al suo enorme costo umano e politico, solo oggi si incomincia a comprenderle, contrariamente a quanto avvenne per la prima guerra del Libano in cui tutti i media erano schierati contro il governo di destra di Begin.
Su questo sfondo storico l'immagine di Olmert appare diversa da quella presentata dall'opinione pubblica. Naturalmente ha avuto e continuerà ad avere bisogno di fortuna: la crisi interna libanese che ha favorito l'invio di una forza internazionale per allontanare gli Hezbollah dalla frontiera di Israele; la paura dei Paesi arabi per l'emergere della potenza ideologica e nucleare iraniana ha rotto in parte l'isolamento di Israele nella regione; la guerra civile palestinese e il sorprendente sviluppo economico e tecnologico di un piccolo stato piazzatosi al terzo posto nel mondo per capacità inventive sono tutte cose per le quali Olmert non ha merito. Tuttavia potrebbe in futuro sviluppare un inaspettato credito per due «virtù» in cui nessuno dei suoi predecessori ha eccelso: umiltà e realismo.
Entrambe non sono frutto del suo carattere ma della «logica situazionale» in cui si trova impigliato. Sfiduciati nell'opinione pubblica, né lui né alcun membro del suo governo può permettersi di fare il «gradasso» col risultato che la prudenza è diventata per necessità, virtù. Difficili trattative e operazioni segrete (le uniche possibili per uno Stato democratico in una guerra asimmetrica anti-terrorista) sono in corso senza essere viziate dall'irresponsabilità dei mezzi di informazione. L'incapacità di piegare con le armi l'ostilità palestinese, l'esposizione dell'immagine internazionale di Israele alla critica internazionale per l'occupazione in Palestina, rende più accettabile al pubblico israeliano l'idea della necessità di porre fine ad essa. Uno sviluppo difficile da realizzare che chiede per riuscire un minimo di concorso arabo e palestinese che ancora non c'è. Le situazioni cambiano, nel bene e nel male, molto più rapidamente che nel passato.

Non sarebbe una novità storica se un leader come Olmert, convinto di non aver più nulla da perdere in fatto di reputazione pubblica e privata riuscisse - con la sua nota furbizia aiutata dalla fortuna - a crearsene una nuova positiva nel futuro.
R.A. Segre

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