Certo, i cinque scranni di nomina del presidente della Repubblica sono al momento tutti occupati. Ma lasciateci ancora una volta chiedere che l'esule istriano Piero Tarticchio sia finalmente nominato senatore a vita. Sarebbe il miglior modo per dare al Giorno del Ricordo energia e sangue, quello della vita contro quello della morte distribuita dai comunisti. Nato in Gallesano vicino a Pola Tarticchio, ora residente a Milano, è stato costretto a lasciare la sua terra nel 1947 dai partigiani del maresciallo Tito che uccisero e gettarono nelle foibe sette suoi parenti.
Tra di loro il padre e don Angelo Tarticchio, parroco di Villa di Rovigno catturato dai titini con trenta suoi parrocchiani, torturato e trovato nudo con una corona di spine conficcata sulla testa e i genitali tagliati e conficcati nella bocca. Uno dei tanti orrori che Tarticchio ha raccontato per tutta la vita a grandi e ragazzi nei suoi incontri e con i libri da presidente del Centro di cultura giuliano-dalmata.
Proprio come Liliana Segre a cui lo accomuna il senso di un'esistenza che è diventata tutt'uno con la missione di raccontare un genocidio. E si è visto, nel caso della Segre, quale potere moltiplicatore sul suo racconto abbia avuto l'ingresso in Senato.
Ma allora perché non segnare anche Tarticchio con il crisma dello Stato, il suggello di un'istituzione che renderebbe ancor più sacre le sue parole. E soprattutto restituirebbe a tutti i martiri delle foibe e agli esuli giuliani e dalmati quel riconoscimento che per troppo anni è stato loro negati. Infoibandoli e trucidandoli una seconda volta.
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