Il partito degli scalatori

L’operazione polverone è cominciata. Dopo aver per anni rivendicato la propria diversità da Berlusconi e dal centrodestra, nel caso Unipol i Ds si accontentano di sentirsi uguali. Sorpresi col telefono in mano mentre brigavano per la riuscita delle scalate finanziarie, i dirigenti della Quercia la buttano in politica. Che male c’è – dicono - a informarsi su un’operazione di Borsa: Berlusconi parlava con Fiorani e Ricucci, noi con Consorte. Insomma: tutti uguali, tutti curiosi di sapere come andavano a finire gli assalti ad Antonveneta, Rcs e Bnl. Dunque, tutti assolti.
Ma non è così. Gli uomini del Botteghino si sono aggrappati ai verbali di Ricucci pubblicati da Repubblica, come i naufraghi si aggrappano alla ciambella di salvataggio. Già si vedevano annegare nel mare magno delle intercettazioni, con le mutande della presunta diversità ormai strappate, quando ecco arrivare i soccorsi. Peccato che il salvagente sia bucato. Il Cavaliere non ha mai chiamato Ricucci. Né l’ha mai fatto Letta. L’unica occasione di contatto è stato il convegno della Confcommercio, cui il Presidente del consiglio partecipò. Uno scambio veloce di battute, un altro con Gianni Letta, cui fu passato il telefono. Un po’ come accadde con Prodi, che conversò con Ricucci via cellulare di Angelone Rovati. Mettere sullo stesso piano l’atto di cortesia di Berlusconi con il finanziere di Zagarolo (anche se lui tiene a precisare di essere nato a Roma) e le chiacchiere di Fassino, D’Alema e Latorre con Consorte è una furbata da furbetti del Botteghino. Il Cavaliere non dice a Ricucci: Vai Stefano, facci sognare: scala la Rcs! E nemmeno lo chiama quasi ogni giorno per sapere: «Abbiamo il Corriere?». Quanto gli importassero le scalate del 2005, lo dimostra una deposizione di Giampiero Fiorani. Il banchiere della Popolare di Lodi ha raccontato ai giudici che un giorno riuscì a farsi accompagnare a villa Certosa. Per accattivarsi l’ospite arrivò con un cactus da 40 chili che gli bucò la giacca e lo sforzo fu premiato da Berlusconi con lunghi discorsi di botanica. Quando Fiorani cercò di raccontargli i suoi piani su Antonveneta, il Cavaliere liquidò l’argomento con un «Se va bene a Fazio, per me va bene». Come dire: ognuno faccia il suo.
Che facessero il loro naturalmente non si può dire di Fassino, D’Alema e Latorre. Dalle decine di telefonate emerge che s’impicciavano di affari, cercavano di convincere azionisti di Bnl a vendere a Unipol, contattavano banchieri, minacciavano di farla pagare a quelli che s’erano messi di traverso nella scalata della compagnia delle coop. Che fossero coinvolti nell’operazione, lo dimostra la confusione linguistica di Fassino, che chiacchierando con Consorte mescola spesso Quercia e Unipol: «Noi abbiamo già il 51 per cento», «Noi avremo la banca saldamente in mano». Noi, noi Ds. Se qualcuno conserva dubbi sul sodalizio di fatto in quella scalata, si legga la testimonianza che Antonio Fazio ha reso davanti ai pm di Milano. L’ex governatore in Procura ha rivelato che tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 Fassino e Bersani andarono da lui sponsorizzando la fusione tra Bnl, Mps e Unipol.

A che titolo un segretario di partito e un ex ministro andarono in Banca d’Italia? Qual era il loro interesse in un’operazione finanziaria che coinvolgeva tre società quotate? Forse i Ds hanno cambiato ragione sociale? Se è così, basta dirlo e tornare al vecchio logo. Pds: ossia partito degli scalatori.

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