Dal Pdl diktat anti-Tosi: fuori dal partito chi è con lui

Avviso agli ex Fi schierati col sindaco. La Lega fa pace sulle liste civiche, ma è già guerra sul congresso in Lombardia: asse cerchisti-maroniani per fermare Salvini

Giulietta e Romeo si stanno facendo grasse risate. Benvenuti a Verona, la città dove, così scrisse Shakespeare, «amore corre verso amore, e amore lascia amore». Va così, anche in politica. Nel giorno in cui Flavio Tosi ha messo la parola fine al tormento (e tormentone) della sua lista civica, col via libera da una Lega almeno su questo ricompattata, sulla stessa candidatura si scuce il Pdl. Con i vertici del partito ad avvertire che chi, sono soprattutto ex di Fi, volesse sostenere il sindaco del Carroccio con cui governa da anni contro la candidatura ufficiale di Luigi Castelletti, sostenuto anche dal Terzo polo, sarebbe fuori dal partito. La decisione finale spetta al segretario Angelino Alfano, intanto però i coordinatori La Russa e Verdini hanno imbracciato lo Statuto e avvertito i dissidenti, dando mandato al coordinatore regionale Alberto Giorgetti di procedere senza tentennamenti sulla via dell’alleanza modello Ppe.

Non che la partita interna alla Lega sia chiusa, con Verona. Anzi. Alla fine, è vero, Roberto Maroni esulta con un «evviva!» e Tosi mette nero su bianco un «grazie a Bossi e Calderoli». Ma quella scaligera è solo una battaglia nella guerra, il cui momento clou sarà il congresso che dal primo al tre giugno indicherà il successore di Giancarlo Giorgetti alla guida della Lombardia. È a quell’appuntamento che guarda ora il Carroccio, con un riposizionamento delle truppe. Spaccati su tutto, a partire dall’opportunità di mantenere l’alleanza col Pdl alle Amministrative, i cerchisti e una parte dei maroniani hanno ritrovato l’unità su una parola d’ordine: fermare Matteo Salvini, maroniano doc, nella corsa alla segreteria lombarda. Il confronto-scontro, fra i maroniani, è fra chi, ottenuta la testa di Marco Reguzzoni alla Camera e vinta la sfida veronese, vorrebbe fare piazza pulita degli avversari. E chi invece suggerisce cautela: «Quando si vince non bisogna cercare di stravincere, o si rischiano i boomerang» avverte un colonnello lombardo di peso.
È così che va inquadrato l’uno a zero segnato ieri da Tosi. Il vertice di via Bellerio ha deciso che il nome di Tosi comparirà su sette liste. Una delle quali «Civica per Verona - Tosi sindaco» sarà composta da candidati vicini al sindaco, e distinta da quella ufficiale, «Lega Nord - Liga veneta per Tosi», che vedrà anche il nome del Senatùr nella parte inferiore del simbolo. Chiaro che a questo punto Tosi non si possa accontentare di una vittoria di misura. Così, ecco le mosse col Pdl. Ecco i contatti con Grande Nord, la lista che l’ex governatore veneto Giancarlo Galan sta costruendo in gemellaggio con Grande Sud di Gianfranco Miccichè. Ed ecco persino il patto con un insospettabile come Francesco Rutelli, che ieri ha garantito il sostegno di Api, archiviando decadi di astio anti-padano all’urlo di: «Quando Napolitano è stato a Verona, Tosi lo ha accolto in modo corretto». «La cosa positiva è che il tormentone è finito», ha commentato la questione scaligera Marco Reguzzoni, dando il segno che sono altri i fronti.

A partire dall’alleanza col Pdl. Bossi deciderà lunedì se concedere deroghe in alcune città. I cerchisti e diversi sindaci invocano «una decisione chiara: bisogna dire sì in tutti i Comuni in cui governiamo assieme, o sarà il caos». Perché: «Alla gente come glielo spieghi che rischi di perdere una città per le liti romane fra Pdl e Lega? I nostri elettori se ne fregano di Roma». Eppure il Senatùr potrebbe negare deroghe. Il ragionamento lo fa un deputato: «Fu proprio Bossi, era il ’95, a spiegarci che in cima alla montagna non si arriva con una linea retta. A volte bisogna scendere a valle per poi risalire». Tradotto: se la Lega vuole ridarsi un’identità dopo l’esperienza governativa, vale la pena anche perdere un giro. C’è poi che i sondaggi non promettono bene, e allora «se si perde anche con la deroga, tanto vale non darla». Del resto la campagna elettorale leghista sarà tutta incentrata sul no al governo dei tecnici e «della macelleria sociale», «e mica puoi tappezzare le città di manifesti contro Monti e allearti col Pdl che lo sostiene».

Sullo sfondo c’è la partita lombarda. Il congresso, ha fatto sapere ieri Giorgetti, si svolgerà a Bergamo «per evitare la concomitanza con la visita del Papa a Milano». Giugno è lontano, ma la guerra è già qui. Nel mirino c’è Salvini. Dicono gli avversari che vuol forzare la mano, con una raccolta firme a sostegno della propria candidatura. Un modo per contarsi, e imporre il segretario già ribattezzato «tagliatore di teste». I fedelissimi di Salvini dicono che «del congresso non abbiamo ancora parlato».

Ma i cerchisti insistono: «Matteo stia attento alla conta, in molti potrebbero firmare per lui, ma poi scaricarlo al congresso». E su questo è già asse con diversi maroniani: «Salvini sta usando i territori per se stesso, e non glielo faremo fare. In Lombardia non possiamo avere un segretario che spacca il partito, serve un mediatore».

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