Il Pdl nella sua capitale è ostaggio dei violenti

Milano di recente ha assistito alle aggressioni alla Statale e agli scontri in piazza Fontana. Ma la città gestita dal centrodestraha tale attitudine pacifica che chiunque si avvicina al palco

Milano - Dell’aggressione contro il presidente del Consiglio avvenuta domenica in piazza del Duomo colpisce la manifestazione di una violenza incontenibile cresciuta nel clima di odio che si coltiva da tempo in Italia e a Milano. Gli appelli dei vari Antonio Di Pietro allo scontro frontale trovano sempre la mano che li mette in atto. E sotto la Madonnina siamo di fronte a frutti velenosi di cui si conoscono bene le radici e i giardinieri, nutriti in ambienti cittadini sempre più ristretti ma anche sempre più eccitati.

I violenti di vocazione e mobilitazione li abbiamo ben presenti: sono gli eredi di una lunga stagione che dalla fine degli anni Sessanta a tutti i Settanta ha insanguinato la vita civile meneghina e i suoi normali conflitti politici, studenteschi e sindacali. Conosciamo le vittime di quelle stagioni: da Piazza Fontana all’assassinio di Luigi Calabresi alla lunga serie di giudici veramente valorosi, a politici di tanti e diversi schieramenti, a giornalisti come Walter Tobagi, a molti dirigenti d’impresa. Anche l’avere all’inizio degli anni Novanta affrontato alcuni problemi della politica, e di sue parziali degenerazioni, con una repressione giudiziaria rabbiosa nelle forme e nella propaganda e per di più unilaterale, ha sedimentato ulteriori elementi di inciviltà. A cui si è aggiunta la campagna di disprezzo antropologico per il berlusconismo che ha i suoi alfieri in milanesi (più o meno acquisiti) come Dario Fo, Curzio Maltese e un bel po’ di intellettuali coltivatori di rancore.

L’ambiente che trova la sua sintesi nello psicolabile Massimo Tartaglia, insomma, è ben noto. E si è già visto all’opera all’Università Statale con l’aggressione alle ragazze della cooperativa ciellina, nella manifestazione per la strage di Piazza Fontana con i teppisti che contestando il sindaco hanno compiuto un orribile sfregio alla memoria di una città che voleva ricordare unita i suoi morti, nelle aggressioni a Letizia Moratti in varie manifestazioni pubbliche, negli attacchi ai pacifici gazebo del centrodestra da parte dei centri sociali e così via. Insomma mentre si è naturalmente e drammaticamente colpiti dall’aggressione a Silvio Berlusconi, è difficile essere del tutto stupiti di quello che è avvenuto. Ma al di là dell’eccitazione di violenti oggi isolati dalla grande parte della società (a differenza degli anni Settanta), quel che impressiona è anche il carattere sostanzialmente tollerante e pacifico della città di Milano: che largamente dominata dal centrodestra, non esprime alcuna pulsione non dico autoritaria ma anche solo rigidamente repressiva, alcuno spirito di vendetta, alcuna attitudine reazionaria. Quella che emerge è l’anima pacifica e liberale di una grande città che nel suo ceto politicamente al governo esprime il meglio di tradizioni liberali, cattoliche, socialdemocratiche che proprio di questa caratteristica facevano la ragione della loro esistenza.

Quel pasticcione di Pier Ferdinando Casini che adesso s’è messo a giochicchiare con i fronti popolari, quelli che accusano di pulsioni autoritarie Berlusconi, lo stesso cardinale Dionigi Tettamanzi che della sua città sa solo tirare fuori i lati negativi, il truce nucleo militante annidato nel Palazzo di Giustizia dovrebbero riflettere bene su come lo spirito di fondo del «regime» berlusconiano, tollerante e liberale, si esprima con singolare limpidezza nella città di Ambrogio dove si può andare fin sotto il palco del presidente del Consiglio a contestarlo senza alcuna reazione violenta.

Un pensierino, peraltro, lo dovrebbe fare, certo, anche il questore di Milano che sicuramente fa bene a non esasperare le situazioni ma dovrebbe garantire una vigilanza più attenta dei violenti. Anche per non disperdere la magica, pacifica tolleranza che oggi prevale.

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