Dopo tanto scetticismo e molte critiche, alla fine anche le cosiddette regioni rosse sembrano aver preso a cuore il piano casa. Il problema iniziale, infatti, era che a varare le misure non poteva essere direttamente il governo ma le Regioni che dopo l'accordo su base nazionale avrebbero dovuto mettere in pratica le norme a livello locale. Dopo le iniziali frenate e anche qualche polemica contro «il governo del cemento», pare che anche le amministrazioni di centrosinistra abbiano capito la bontà dei provvedimenti a favore dell'edilizia.
A rompere il fronte degli scettici per principio - va detto a onore di cronaca che la prima regione a dar via al piano casa è stata il Veneto di Giancarlo Galan - è stata la Toscana (possibile ampliare fino al 20% case mono o bifamiliari e fino al 35% nel caso di demolizione e di ricostruzione), seguita, il 17 giugno, dall'Umbria (ampliati fino al 20% gli edifici residenziali uni-bifamiliari, quelli di tipologia diversa che non superino i 350 metri quadrati e comunque entro il limite massimo di 70 mq per edificio) e, il 30 giugno, dall'Emilia-Romagna (aumentano le percentuali se si premia la qualità architettonica, l'antisismicità e il risparmio energetico). Insomma - sembra quasi incredibile - ma sono proprio quelle giunte che appena lanciato il piano da Berlusconi non avevano esitato a parlare di «cementificazione selvaggia».
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