Pippo Delbono: «Milano? Mi sorprende sempre»

Pippo Delbono: «Milano? Mi sorprende sempre»

Un mazzo di rose scarlatte squarcia il grigio della scena. Il corpo dell'attore celebra ancora una volta il rito del teatro. La sacralità del gesto prende vita e d'improvviso diviene energia pura con la leggerezza della danza, nel ricordo della grande Pina Bausch. Con Dopo la Battaglia, il poliedrico autore, attore e regista ligure, Pippo Delbono, protagonista della scena teatrale e cinematografica internazionale, da anni attivo nel teatro di ricerca sociale, intreccia la trama dei linguaggi della musica, del teatro e della danza, in una sarabanda che inneggia all'amore per la libertà. Segnato dall'incontro con il Wuppertaler Tanztheater di Pina Bausch, Delbono dal 2003 affianca alla sua ricca produzione teatrale un autorevole repertorio cinematografico con la regia di film spesso al limite tra performance, documentario e sperimentazione. Presentato a Torino e Padova, Dopo la battaglia approda domani al Teatro Strehler (fino al 23 ottobre) e costituisce uno dei segmenti dell'omaggio composito - tra teatro cinema e incontri con il pubblico (il 19 ottobre, h.18, Scatola Magica, Teatro Strehler, Pippo Delbono, Alexander Balanescu, Marie-Agnès Gillot incontrano gli allievi delle scuole di danza; il 21 ottobre, h. 18, Teatro Grassi, Delbono incontra il pubblico, in occasione della pubblicazione dei volumi «Visioni incrociate, Pippo Delbono tra cinema e teatro» a cura di Nicola Bionda e Chiara Gualdoni e «Dopo la battaglia: scritti poetico-politici»), che la città dedica al lavoro del regista e alla sua personalissima ricerca sul significato dell'uomo e delle sue relazioni con le differenze e l'alterità. «Milano mi sorprende sempre - dice Delbono - confessando un iniziale pregiudizio da ligure nei confronti dello “snobismo“ dei milanesi - il pubblico di Milano, invece è rispettoso del lavoro degli altri, attento e formato all'ascolto». Proseguimento ideale del precedente La Menzogna, lo spettacolo - viaggio visionario, personalissimo, intimo e privato, ma al tempo stesso universale - percorre tutti i linguaggi dell'arte, in uno spettacolo che rappresenta senza veli, vizi e miserie di un popolo ingabbiato e cieco. Fantasia e individualità, umanità e cruda realtà si incontrano nella sintesi espressiva del corpo, travalicando i sentimenti di razzismo, diversità ed emarginazione e aprendosi ad una visione del futuro. «Per questo spettacolo - continua il regista - ho pensato a un luogo vuoto, come quelle stanze vuote, memoriali di orrori passati, che però portano ancora forti i segni, i colori, gli odori delle prigioni. Ma pensando anche alle stanze della mente, svuotate dopo le grida di passione, di amore, di rabbia, di dolore. Un bisogno di lucidità dopo la follia». Gran direttore d'orchestra di questa danza dell'umanità «in cui è necessario lasciarsi danzare con il filo della mente», è Bobò, l'attore protagonista, cui Delbono dedica lo spettacolo. Nella sua storia, nei suoi anni in manicomio, nella sua sordità, nella sua spontanea grandezza di attore, risiede l'anima della rappresentazione, la libertà di «essere», al di la delle regole dell'apparire. «Con La Menzogna sentivo che ancora eravamo pervasi dal “marcio“ che ci circonda» - dice Delbono - Dopo la battaglia invece rappresenta un inno all'Amore vero, una riflessione più intima alla ricerca del profondo senso dell'umanità, della liberta, della spiritualità e del mistero che abbiamo perduto, con uno sguardo che “va oltre“ e diviene più leggero e lungimirante».

E poi, «Amore e carne (presentato a Venezia e in anteprima milanese, al cinema Gnomo in due giorni di proiezioni, 22-23 ottobre) è il mio ultimo lavoro in video, e in fondo ha lo stesso bisogno: andare oltre per guardare il mondo con altri occhi, con il desiderio di raccontare attraverso un cinema che non vuole documentare la realtà, ma guardarla diventare sogno, poesia e cercare quelle linee segrete che uniscono le cose che non capiamo. In una realtà massacrata dall'ipocrisia e dal buonismo, il messaggio di speranza è pensare che sia ancora possibile l'irruzione della bellezza».

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