Schiaffo tedesco sull’antiriciclaggio Ue

Berlino ottiene per Francoforte l’agenzia Amla, ma boccia l’idea del mercato unico dei capitali

Schiaffo tedesco sull’antiriciclaggio Ue
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Con una mano prendono, con l’altra oscillano l’indice a mo’ di tergicristallo per dire «nein». I tedeschi son fatti così, e Christian Lindner è quello che meglio, e più di tutti, li incarna nelle svolgimento delle funzioni di ministro delle Finanze. Un’attitudine molto Deutschland über alles messa in mostra ieri nel giro di poche ore, quante ne sono bastate alla Germania per inchiodare la targhetta di Francoforte sulla sede della nuova autorità di antiriciclaggio europea (Amla) e opporre un netto rifiuto alla proposta della Francia di completare, «con chi ci sta», l’Unione del mercato dei capitali.
Un doppio colpo che spariglia le carte, soprattutto sul versante dell’authority con il compito di dare la caccia ai quattrini di dubbia provenienza. Mastica infatti amaro l’Italia, che dopo aver perso nel 2017 la corsa per collocare a Milano la sede dell’agenzia del farmaco Ema, aveva fatto pesare l’assenza sul territorio nazionale di istituzioni Ue, proposto quindi Roma come candidata per Amla, messo sul piatto 27 milioni per coprire l’affitto dei primi otto anni delle torri dell’Eur che avrebbero ospitato l’agenzia e, soprattutto, sottolineato la lunga lotta alla criminalità organizzata con quell’approccio «follow the money» di Falcone e Borsellino, diventato poi uno standard internazionale. Motivi più che validi, ma non abbastanza per vincere la partita: i rappresentanti europei di governi e Parlamento hanno assegnato, a scrutinio segreto, 28 voti a Francoforte, 16 a Madrid, 6 a Parigi e solo quattro alla nostra capitale. Uno schiaffo tra i più dolorosi ricevuti da Berlino.
Fra le meno favorite nelle scorse settimane, la città sul Meno deve dunque aver effettuato la rimonta sul filo di lana, probabilmente grazie alla tela diplomatica intessuta da Lindner. Capace di giocarsi bene le carte in mano usando come grimaldello la presenza sul posto della Bce e delle quasi 300 banche che ne innervano il sistema finanziario. Un’azione di «moral suasion», o di lobby vera e propria, magari condita con qualcosa di più sostanzioso, visto le partite ancora aperte. Tra queste, l’assegnazione della poltrona di capo del Fondo monetario internazionale cui ambiscono gli irlandesi, che erano in corsa con Dublino per ottenere la roccaforte Ue contro il riciclaggio. E questo gioco di sponda, se non propriamente un “do ut des”, potrebbe essere stato decisivo nell’affermazione di Francoforte. Anche se a voler pensar male, la sconfitta di Roma può essere letta come un atto di ritorsione nei confronti dell’Italia per non aver ratificato a dicembre la riforma del Mes, il Fondo salva-Stati.
In questo gioco di ripicche e veti rientra anche il «no» con cui Lindner ha ieri bocciato la proposta del ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, di mettere a punto l’Unione dei mercati dei capitali «su base volontaria». Con il coinvolgimento, in prima battuta dell’Autorità europea dei mercati finanziari, cui dovrebbero aderire le banche, le Borse e i gestori dei fondi; in secondo luogo, con la creazione di «un prodotto di risparmio europeo con gli Stati che lo desiderano»; terzo passo, una garanzia per la cartolarizzazione «in modo che i titoli smettano di pesare sui bilanci delle banche e che le banche possano quindi prestare di più ai privati e prestare di più alle imprese».

«Sono a favore di una unione dei mercati dei capitali ad alta velocità, cioè andare avanti rapidamente con tutti i 27», la replica del tedesco. Al quale, par di capire, l’unanimità piace solo quando non c’è di mezzo l’Ungheria di Orbàn.

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