Prima in Austria. Ma circondata da un cordone sanitario che dovrebbe tenerla lontano dalle stanze del governo. Prima in Olanda e ora, dopo una gestazione interminabile lunga quasi come quella di un bambino, al potere a L'Aja. Prima in Francia, ma solo al primo turno, perché al secondo Parigi si è consegnata alle sinistre unite. E poi, al terzo tempo, ancora protagonista: Macron l'ha recuperata mettendo su un esecutivo di centro che guarda verso Le Pen. La destra-destra non è entrata a Matignon ma il tabù è rotto. Si potrebbe proseguire: la destra radicale è stata sconfitta di un soffio, sul filo di lana, dai socialdemocratici in Brandeburgo. Tripudio generale, ma il problema, chiamiamolo così, rimane come un masso sulla strada delle democrazie.
Soffia in Europa un vento che favorisce quelle formazioni un tempo considerate impresentabili e presentate, qualche volta in modo frettoloso ma con ragione se si osserva l'albero genealogico nascosto da qualche parte nell'armadio di famiglia, come avvinghiate a un passato nazista. È il caso dell'Fpo austriaco, vincitore di questo round, ma subito messo ai margini nei circoli che contano a Vienna. Si cercherà un'altra soluzione, i numeri per costruire un'alternativa ci sono ma sono striminziti.
E però ci si muove su un terreno difficile, perché tutti i tentativi di demonizzare l'ultradestra sono falliti. E più si afferma che questi partiti propongono soluzioni impraticabili e inaccettabili, più attraggono gli elettori.
L'Afd tedesca, fortissima nelle regioni della vecchia Germania Est, suggerisce addirittura la remigrazione - termine inventato peraltro in Austria - di due milioni di profughi che dovrebbero essere espulsi in massa, strappando tutte le procedure a garanzia dei diritti fondamentali della persona. E poi, espulsi dove? Verso paesi che non hanno alcuna intenzione di riprendere chi è scappato?
È solo un tema, ma incandescente in un'agenda che spesso contempla l'uscita dall'euro, la sfiducia verso l'Europa, una sensibilità filoputinaina sulla frontiera della politica estera.
E però non sono gli anatemi ma le politiche a disinnescare quello che nelle analisi generali viene catalogato come un voto di protesta. Da tenere più o meno in un ghetto.
Ma quello che si intravede all'orizzonte è che qualcosa sta cambiando.
Quello di Geert Wilders, ora con alcuni dicasteri chiave nel governo guidato dall'ex capo dell'intelligence Dick Schoof, potrebbe essere un esperimento senza futuro, destinato ad esaurirsi in breve. Ma potrebbe anche aprire una strada in un'Europa che, come ha detto nel suo recente report Mario Draghi, deve ripensarsi e mettere sul tavolo una montagna di soldi, se vuole sopravvivere.
In fondo è quello che, sia pure in modo indiretto e per gradi, si osserva in Francia dove le prossime elezioni presidenziali potrebbero rappresentare una svolta. Di più, uno spartiacque.
Il veto su Le Pen di fatto non c'è più o si è attenuato, lei almeno negli ultimi tempi ha virato spostandosi dalle barricate dell'estrema destra.
Processi incerti e frammentari, ma se si guarda con attenzione è quello che tentò, già in anni lontani, il governatore della Carinzia Jorge Haider, campione della droite europea nel 1999. Nel 2005 ruppe con il suo partito, l'Fpo, e fondò il Bzo, più spostato verso il centro e i popolari.
Allora andò male; oggi l'Fpo di Herbert Kickl, il giovane che scriveva i discorsi di Haider, potrebbe scoprire un profilo più moderato, passepartout decisivo per non rimanere perennemente in panchina.
Qualcosa
del genere - vedi il filoatlantismo e in qualche misura il rapporto con la Ue - è accaduto, fatti i debiti paragoni, alla destra meloniana in Italia.Certo, il muro alzato in tutta Europa un po' alla volta sta venendo giù.
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