L’Italia è tornata grande in politica estera non mostrando i muscoli, ma autorevolezza, forza e correttezza». Così il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli commenta l’esito della Conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni.
Quale obiettivo con la conferenza sui migranti?
«Vogliamo esportare l’accordo che abbiamo fatto con la Tunisia a tutta la regione del Nord-Africa allargata e ciò significa includere anche il Sahel per creare sviluppo in loco, non solo come Italia ma come Unione Europea. Si chiamerà Processo di Roma e avrà l’egida di Bruxelles. Poi ci saranno anche i tre giorni sulla sicurezza alimentare dell’Onu che siete presso la sede della Fao, ma che è co-organizzato dall’Italia. Sarà un momento centrale perché vogliamo contrastare l’immigrazione illegale, incentivare quella legale e attuare il “Piano Mattei”, un’iniziativa politica che va riempita di finanziamenti e di interventi formativi mirati per i giovani».
È cambiato l’atteggiamento del governo con i Paesi del Nord-Africa?
«La Meloni si è posta come un leader autorevole che non va a fare il prepotente e non si fa mettere i piedi in testa. Non abbiamo avuto atteggiamenti neocolonialisti e arroganti e questo comportamento corretto, alla fine, ha pagato. Nel passato, invece, abbiamo avuto governi poco credibili che non erano pronti a difendere gli interessi italiani e che avevano un atteggiamento spocchioso da primi della classe che i nordafricani, spesso, interpretano come para-razzista.
Bisogna stare sempre molto attenti a come ci si comporta con un Continente che è stato sempre insultato dall’Europa e dall’Occidente. La correttezza e la lealtà pagano sempre».
L’approccio dell’Ue è totalmente cambiato?
«La Meloni ha convinto che l’Europa e l’Africa hanno un comune destino e che la frontiera del Mediterraneo può diventare una grande opportunità. L’Africa è ricca di risorse e di materie energetiche di cui noi abbiamo bisogno, ma dobbiamo fare qualcosa di importante in cambio, soprattutto nella formazione dei giovani.
Già la visita della Von Der Leyen in Tunisia è il primo passo verso il Piano Mattei».
Vi preoccupa il fatto che il presidente tunisino non sia proprio un convinto democratico?
«C’è da dire che in Africa non ci sono molte democrazie e non possiamo pensare di imporre il modello europeo dall’oggi al domani in società che devono fare il loro percorso. Le dobbiamo accompagnare, ma se le abbandoniamo avremo Paesi fragili dal punto di vista democratico che diventeranno dittature vicine alla Russia e alla Cina.
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