L'ambasciatrice saudita a Washington Reema Bandar Al Saud sapeva tutto, per questo mercoledì si era messa sulla difensiva sostenendo che «qualsiasi accusa di complicità dell'Arabia Saudita negli attacchi dell'11 settembre sarebbe categoricamente falsa». Al resto ci ha pensato l'Fbi, diffondendo ieri il primo di una serie di documenti relativi alle indagini sugli attacchi terroristici di vent'anni fa e al sostegno del governo di Riyadh ai dirottatori, dopo un ordine esecutivo del presidente Joe Biden. Il documento risale al 2016 e fornisce una serie di dettagli circa le indagini sul supporto logistico che un funzionario consolare e un agente dell'intelligence a Los Angeles avrebbero fornito ad almeno due degli uomini che dirottarono gli aerei. Nelle ultime ore sarebbe emersa l'identità di uno dei terroristi in contatto con le autorità saudite: si tratta di Nawaf Al Hazmi, originario della Mecca, dirottatore del volo 77 American Airlines che si schiantò sul Pentagono. Le generalità dei fiancheggiatori, che emergono dal documento di 16 pagine non più top secret, sono invece quelle di Omar Al Bayoumi, uno studente arabo a Los Angeles, e di Fahad Al Thumairy, all'epoca diplomatico presso il consolato saudita della città californiana. Bayoumi viene indicato come un agente dell'intelligence saudita che avrebbe fornito assistenza di viaggio, alloggio e finanziamenti ai due jihadisti. Al Thumairy guidava invece una fazione estremista nella sua moschea, dove si trovavano a pregare Al Hamzi e suo fratello Salem (anche lui sul volo 77). Il rapporto è il primo documento investigativo ad essere divulgato da quando il presidente Biden ha ordinato una revisione e declassificazione di materiali che per anni sono rimasti segreti. L'inquilino della Casa Bianca ha così acconsentito alla richiesta delle famiglie delle vittime, che ritengono che gli atti da declassificare possano mostrare una connessione tra i 19 attentatori e le autorità saudite, oggetto di una causa legale da parte dei parenti dei quasi 3mila morti e 6mila feriti.
Il primo ad accogliere con una certa soddisfazione la svolta è uno degli avvocati dei parenti delle vittime, Jim Kreindler. Alla Cnn ha spiegato che «i risultati e le conclusioni di questa indagine convalidano le argomentazioni che abbiamo portato nel contenzioso relativo alla responsabilità del governo saudita e mostra come al Qaeda abbia agito con l'appoggio di Riyadh». Non solo, Kreindler parla con una certa sicurezza di telefonate intercorse tra diplomatici dell'Arabia Saudita e miliziani di Al Qaeda nei giorni precedenti all'11 settembre. «L'allora governo di re Fahd ha persino provveduto a pagare le scuole di volo ai terroristi».
Ci si domanda che cosa accadrà adesso nei rapporti diplomatici tra Washington e Riyadh, caratterizzati negli ultimi tempi da una dinamica da
montagne russe, con picchi di collaborazione e rapide discese. Un fatto è certo: nel 2019, durante la campagna per la nomination democratica, Biden definì l'Arabia Saudita «pariah», promettendo di interrompere il sostegno Usa.
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