Aiutare a morire è reato? Il verdetto su Cappato per la morte di Dj Fabo

La Consulta deciderà sull'accusa d'istigazione al suicidio. Accompagnò il malato in Svizzera

Aiutare a morire è reato? Il verdetto su Cappato per la morte di Dj Fabo

La Corte Costituzionale deciderà oggi se aiutare un malato terminale a morire è un reato o un passo necessario per consentire a chi soffre di esercitare il proprio diritto di scegliere una morte dignitosa.

Dopo l'udienza di ieri sul caso di Marco Cappato, il leader dell'associazione Luca Coscioni che nel febbraio del 2017 ha accompagnato Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, in Svizzera a morire, i giudici della Consulta stamattina sono riuniti in camera di consiglio per stabilire se l'articolo 580 del codice penale, una norma del 1930 che disciplina il reato di aiuto al suicidio prevedendo una condanna fino a 12 anni di carcere, è incostituzionale, come aveva chiesto di valutare la Corte d'Assise di Milano che sta processando l'esponente radicale. Il governo, rappresentato dal vice avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri, si è costituito a difesa della legge. «È necessario lasciare spazio al legislatore, che deve trovare il giusto punto di equilibrio di tutti i diritti in gioco», ha detto per conto della presidenza del Consiglio. Ma una legge in materia Cappato la aspetta da 5 anni: «La nostra legge di iniziativa popolare sull'eutanasia legale - attacca - non è stata ancora mai discussa e il governo Conte interviene in questo giudizio contro di me invocando che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata e rimandando a un intervento del legislatore. Aspettiamo comunque con rispetto la decisione della Corte, che sarà un'occasione di chiarezza per le persone che sono in uno stato di sofferenza insopportabile». Uscendo dal palazzo della Consulta il leader dell'associazione Coscioni ha ringraziato dj Fabo per aver «voluto agire pubblicamente» consentendo oggi alla Corte Costituzionale di esprimersi su una tema così delicato. In udienza c'era anche Valeria Imbrogno, la fidanzata di Fabo, che ha condiviso con lui questa battaglia per avere la possibilità di decidere sulla propria vita. «Sono qui oggi - dice - anche nel nome di Fabiano, è quello che lui avrebbe voluto. Spero che la Corte abbia la giusta apertura mentale per sancire il diritto di essere liberi di poter scegliere».

«Non chiediamo un lugubre diritto a morire - ha spiegato il professor Vittorio Manes, difensore di Cappato - ma il diritto ad essere aiutati a morire di mano propria in quei casi in cui ci dobbiamo chiedere se si possa parlare ancora di suicidio, quando il corpo si è congedato dalla persona e lo spirito è prigioniero». I giudici ieri hanno dichiarato inammissibili gli interventi delle associazioni «pro vita».

Era stato dj Fabo a rivolgersi a Cappato per chiedergli di aiutarlo ad uscire dalla gabbia in cui si sentiva imprigionato da quando era diventato tetraplegico e cieco in seguito ad un incidente d'auto nel 2014. Il leader dell'associazione Coscioni non si è tirato indietro e il 27 febbraio 2017, dopo essersi occupato di tutte le necessarie pratiche burocratiche, lo ha accompagnato fisicamente in una clinica vicino a Zurigo dove ha ottenuto l'eutanasia per mezzo del cosiddetto suicidio assistito. Poi Cappato si è autodenunciato ai carabinieri. L'inchiesta si è conclusa con una richiesta di archiviazione avanzata dai pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini, poi respinta dal gip Luigi Gargiulo, che ordinò l'imputazione coatta.

Il dibattimento è andato avanti per quattro udienze, a tratti molto toccanti, in particolare quando in aula è stato proiettato il video dell'intervista delle Iene in cui dj Fabo raccontava la vita di sofferenza alle quale era costretto. Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, la palla tornerà alla Corte d'Assise di Milano che dovrà pronunciarsi sulla sorte di Cappato.

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