Continuano gli scontri a Gaza e in Cisgiordania e in parallelo alle violenze di strada si accentua la pressione critica nei confronti di Donald Trump, «colpevole» di aver annunciato di voler riconoscere Gerusalemme quale capitale dello Stato di Israele.
Sono saliti a quattro i morti palestinesi in seguito ai raid aerei condotti dall'aviazione israeliana contro postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza: Hamas ha proclamato venerdì scorso i «tre giorni della collera» contro Donald Trump e ha invitato i palestinesi a lanciare «una nuova intifada fino alla vittoria»; il governo Netanyahu la considera responsabile del lancio verso il territorio israeliano di razzi a scopo terroristico.
Quanto alla cifra drammatica di oltre 750 feriti diffusa venerdì dalla Mezzaluna Rossa palestinese e ripresa quasi unanimemente dai media, va notato che la cifra include quasi 500 «intossicati da gas lacrimogeni» (dunque non si tratta di feriti), e che la stessa fonte precisa che i feriti veri e propri in scontri con le forze dell'ordine israeliane sono stati poco più di sessanta nella giornata di venerdì. Ieri si è ripresentata la stessa questione: per la Mezzaluna Rossa «si sono contati altri 150 feriti» tra intossicati da lacrimogeni e feriti da proiettili veri e di gomma, salvo poi precisare che questi ultimi erano al massimo una decina, colpiti presso i confini della Striscia di Gaza.
Questo balletto di cifre dimostra un tentativo di presentare un quadro della situazione drammatizzato da parte delle fonti palestinesi, in qualche modo costrette a prendere atto che il tentativo di scatenare una nuova rivolta popolare prendendo spunto dalla mossa di Trump su Gerusalemme capitale non sta ottenendo l'auspicata risposta di massa.
Altri scontri hanno avuto luogo in Cisgiordania presso Ramallah e a Betlemme, presso la Tomba di Rachele. Nella parte orientale di Gerusalemme, infine, la polizia a cavallo e a piedi è intervenuta per disperdere una folla di dimostranti.
Sul piano politico, Trump è sempre più sotto accusa. Tra le tante che si sono registrate nella sola giornata di ieri, la presa di posizione più forte e diretta sembra essere quella dell'Autorità nazionale palestinese, in cerca anche di visibilità dopo che Hamas si è giocata la carta della rivolta di piazza: l'Anp ha annunciato ieri che non considererà più gli Stati Uniti come mediatori con Israele. «Con la loro decisione su Gerusalemme sono diventati parte del conflitto e hanno cessato di essere dei mediatori», ha spiegato il ministro degli Esteri dell'Anp Riyad al-Malki. « Cercheremo - ha aggiunto significativamente al-Malki - un nuovo mediatore e tra i nostri fratelli arabi e la comunità internazionale, un mediatore che possa aiutare a raggiungere una soluzione con due Stati».
Anche la Lega Araba insiste sul tasto dell'inaffidabilità degli Stati Uniti.
È stato lo stesso al-Malki ad annunciarlo dal Cairo prima dell'inizio della riunione a livello di ministri degli Esteri della Lega: «Chiederemo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che respinga la decisione di Donald Trump su Gerusalemme capitale di Israele.»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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