Anche la Cgil certifica il fallimento del Jobs Act

La Cgil rivela: il 71% delle nuove assunzioni del 2016 è a termine. La dimostrazione che il piano di Renzi serve a poco

Anche la Cgil certifica il fallimento del Jobs Act

Mentre il governo corre ai ripari con una stretta sui voucher e i dati sul lavoro sono tutt'altro che confortanti, ci pensa anche la Cgil a confermare che il Jobs Act è un fallimento e che i dati positivi dello scorso anno erano drogati dagli incentivi.

Secondo uno studio messo a punto dal sindacato guidato da Susanna Camusso, il 71% delle nuove assunzioni avvenute nel 2016 è a termine. Tra i lavoratori dipendenti del settore privato (escluso domestici e agricoli), inoltre, le assunzioni a tempo indeterminato nei primi 7 mesi di quest'anno sono state 744mila e sono inferiori non solo a quelle del primi 7 mesi del 2015 (-379mila, pari al -33,7%), ma anche a quelle dei corrispondenti periodi del 2014 (-64 mila, pari al -8%) e del 2013 (-92 mila, pari al -11%).

Superano i 2,1 milioni, invece, le assunzioni a termine (il 71% dei nuovi rapporti di lavoro, a fronte del 63% nel 2015), con una variazione di +20 mila rispetto al 2015, una più consistente rispetto al 2014 (+73 mila) ed una cospicua rispetto al 2013 (+234 mila). Ancora nei primi sette mesi del 2016, sono stati acquistati in Italia quasi 85 milioni di voucher, con un incremento rilevante rispetto allo stesso periodo del 2015 (61,9 milioni) e del 2014 (35,8).

Anche le trasformazioni in tempo indeterminato, che sono il vero cavallo di battaglia del Jobs Act e che nei nei primi sette mesi del 2016 sono state 179mila, sono calate rispetto allo stesso periodo del 2015 (-102mila) e del 2014 (-39mila).

A delineare il quadro è uno studio della Fondazione Di Vittorio che rielabora di dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps. Lo studio della Cgil evidenzia che le assunzioni a tempo determinato riguardano rapporti di lavoro spesso di durata molto breve, che fanno capo in molti casi ad uno stesso individuo che ha una pluralità di rapporti di lavoro nel periodo che viene osservato. Le assunzioni a termine generano quindi una quantità di lavoro ridotta: il 46% dei rapporti di lavoro a tempo determinato termina infatti entro un mese ed il 65% entro 3 mesi. Con riferimento al campo di azione del settore privato, nel 2015 il 35,4% dei contratti a tempo determinato aveva una fine prevista entro un mese e un altro 23,7% da 1 a 3 mesi.

Per la Fondazione della Cgil, dunque, "il lavoro precario e instabile si conferma nel 2016 la forma assolutamente predominante di accesso al mercato del lavoro e le nuove attivazioni a tempo indeterminato, inferiori non solo al 2015 ma anche al 2014, dimostrano in maniera evidente che l'elemento predominante per le scelte delle aziende è stato quello degli incentivi".

Dallo studio emerge che il saldo occupazionale complessivo (attivazioni/cessazioni) del tempo indeterminato (incluse le trasformazioni che però riguardano rapporti di lavoro già esistenti) resta, invece, positivo (+76 mila).

Il saldo però, rileva lo studio, è fortemente ridotto rispetto al 2015 (+465 mila) e al 2014 (+129 mila). E, comunque, nel mese di luglio la variazione netta è stata pressoché nulla (pari a sole 87 unità). È inoltre "un dato che va interpretato, tenendo soprattutto conto della forte diminuzione delle uscite per pensioni".

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