È passato esattamente un anno dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018, i cui risultati sconvolsero lo scenario politico del nostro Paese. Una vera rivoluzione, i cui effetti sul piano della distribuzione degli eletti in Parlamento resero inizialmente assai problematica la formazione di una qualsiasi maggioranza di governo.
Per poi sfociare nella soluzione anomala, che vede la difficile cooperazione tra due forze politiche, il M5s e la Lega che si erano scontrate duramente durante la campagna elettorale e che sono tuttora, su molte questioni cruciali, decisamente distanti l’una dall’altra. Ma alla «rivoluzione» del 4 marzo ha fatto seguito un altro forte stravolgimento dei rapporti di forza tra i diversi partiti, che ha mutato nuovamente il quadro politico. Che oggi non è più rispecchiato dalla distribuzione della numerosità di rappresentanti dei diversi partiti presenti in Parlamento. Anzitutto perché nel corso di quest’anno, ma specialmente negli ultimi mesi, è fortemente declinato il consenso per ilM5s. Che è stato il grande vincitore delle elezioni dell’anno scorso.
Ottenne quasi il 33%, un terzo di tutti i voti espressi, con un particolare successo nelle regioni meridionali. Un consenso che era determinato perlopiù dall’insoddisfazione diffusa, dalla protesta, da quello che il Censis ha definito il «rancore sociale» e, conseguentemente dalla voglia di novità, di una rappresentanza politica rinnovata e diversa, nei programmi e, specialmente, nelle persone.Ma la successiva esperienza di governo ha in buona parte deluso le aspettative, secondo alcuni anche a causa dell’inesperienza e dell’impreparazione degli eletti grillini trasferiti dalla mera protesta alla, assai più difficile, responsabilità di direzione del Paese. Tanto che, secondoi sondaggi, il seguito elettorale del M5s è andato progressivamente calando.
Giàin autunno era sceso sotto il 30%, per collocarsi oggi al 21% (il dato più recente è di Ipsos,ma anche le rilevazioni di diversi altri istituti, compresa EumetraMR, confermano questo trend e si avvicinano a questo dato), dunque pericolosamente vicino alla soglia psicologica del 20%. Un andamento peraltro confermato dai disastrosi (per il M5s) risultati delle recenti consultazioni regionali in Abruzzo e, specialmente in Sardegna (ove i grillini sono scesi sotto il 10%). Questo declino è stato indubbiamente favorito dall’assenza di un personaggio popolare come Grillo e dalla debolezza dello stile di leadership di Di Maio. Ed è proprio la capacità dileadership che,in questi dodicimesi, ha premiato Salvini. Che, a fronte del 17% ottenuto il 4marzo (comunque un buon risultato, rispetto alle precedenti performance della Lega), ha visto accrescere a mano a mano il seguito del suo partito, valicando il 30% già nel corso dell’estate e attestandosi oggi addirittura attorno al 36%, (sempre secondo Ipsos, a fronte di una media dei sondaggi della scorsa settimana degli altriistituti pari a pocomeno del 34%) superando dunque il livello di consenso che il M5s aveva ottenuto alle elezioni. Il successo di Salvini è derivato anche dalla sua comunicazione e, in particolare, della presenza continua sui social media e dall’individuazione di volta in volta di un «nemico» (gli immigrati, l’Ue, la Francia, imalavitosi) contro cui mobilita, assai più efficacemente dei grillini,il «rancore sociale» di cui si è detto. Il leader leghista ha sottratto voti in modo trasversale a tutti gli altri partiti.
Al M5s (ma, secondole stime deiflussi elettorali, una parte dei voti persi dai grillini si sono diretti anche verso il Pd e, in misura maggiore, verso l’astensione) e, specialmente, a Forza Italia. Il partito di Berlusconi aveva visto alle politiche dell’anno scorso un risultato forse inferiore ad alcune aspettative, ma tutto sommato accettabile (14%). Nei mesi successivi però ha subito, come si è detto, un drenaggio in particolare dalla Lega, scendendo talvolta addirittura sotto l’8% e assestandosi poi attorno al 9-10%, con un calo specie nelle regioni meridionali del Paese. Pesa l’assenza di un leader mobilitante e riconosciuto, ciò che è essenziale oggi nell’agone politico italiano (ma anche in quello di molti altri Paesi), tanto che secondo molti analisti,la nuova discesain campo del Cavaliere in occasione delle elezioni europee potrebbe dare una spinta valutabile in diversi punti percentuali. Ma il vero sconfitto delle elezioni del 4 marzo è stato certamente il Pd, che è sceso in quella occasione sino a sotto il 19%. L’indebolimento è proseguito nei mesi successivi, portando in autunno il partito del Nazareno a superare di poco il 16%. Tuttavia, secondo la gran parte dei sondaggi disponibili, è in atto nelle ultime settimane una risalita (i risultati in Abruzzo e Sardegna lo confermerebbero), dovuta all’afflusso di una (piccola) parte di «pentiti» del M5s, che farebbero assestare oggi il Pd tra il 18 e il 19%, un dato simile, dunque, a quello ottenuto alle politiche dell’anno scorso. Molto dipende ora dall’esito delle primarie (anche sul piano della partecipazione) e dalla capacità del nuovo segretario di proporre e comunicare una prospettiva politica attraente per gli elettori. In conclusione c’è da dire, però, che tutti questi dati sul seguito attuale delle diverse forze in campo derivano dalle analisi dei sondaggi di opinione. Che, pur essendo svolti nella maggior parte dei casi con grande accuratezza, non sempre riescono a prevedere correttamente le scelte degli elettori, specie perché unalarga parte di questi ultimi, fino al 50%, è tuttora indecisa sul partito da votare effettivamente e, diversamente dai tempi della Prima Repubblica, finalizza la propria scelta solo negli ultimi giorni prima della consultazione, sulla base della campagna elettorale.
Le elezioni europee costituiranno dunque il vero test della nuova distribuzione delle preferenze degli italiani. E potranno portare a nuove, rilevanti sorprese, esattamente come è accaduto un anno fa, in occasione delle politiche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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