Serenella Bettin
Venezia «Ma noi abbiamo il Mose - gridano i veneziani lungo le calli - noi abbiamo il Mose che ci salverà». Ma Venezia non si salva. E affonda. È la sera del 12 novembre. È notte. Fa freddo. Ed è buio pesto. Venezia combatte con l'acqua alta. «Forza su, dai che scende», gridano. Ma all'improvviso il mare sale. Sale a ritmo costante, tre, quattro, cinque centimetri ogni dieci minuti. Un metro. Un metro e cinquanta. Un metro e sessanta. Un metro e settanta. Alle 22.50 la lancetta dell'idrometro è agghiacciante. Un metro e 187 centimetri (con danni alla Fenice, in centro e alla Basilica). La gente inizia a scappare. I titolari iniziano a fuggire dai locali. Impossibile rimanere dentro, si rischia di morire annegati. Il vento spinge le barche sulla terra, i vaporetti iniziano a roteare, i pontili si spaccano, le barche colano a picco, tre vaporetti affondano. Le paratie non reggono. Le gondole sbattono contro le vetrine dei negozi. Le luci collassano, i tavoli traballano, ballano in mezzo al mare, come fossero giù, sotto a un fondale. L'acqua arriva alle anche, la gente non sa più che fare. Intanto i morti salgono a due. Il Consiglio regionale in corso viene sospeso. I consiglieri bloccati dentro al palazzo, si rifugiano ai piani superiori. I divani e le poltrone ondeggiano lungo le sale. Sembrano scene di un film catastrofico. Invece è tutto vero. «Questo non è uno spettacolo - scrive Tomaso Borzomì su Facebook, giornalista veneziano - per la seconda volta nella storia, dopo il 4 novembre 1966 (194 cm), l'acqua alta ci ha stesi». Già stesi. In giro è il caos. Le sirene partono. I soccorsi si mobilitano. Luca Zaia attiva l'unità di crisi, il sindaco Luigi Brugnaro chiede lo stato di calamità. Viene indetta una conferenza stampa con il patriarca di Venezia, il capo della protezione civile Angelo Borrelli e il capo dei vigili del fuoco Fabio Dattilo. Venezia è in ginocchio. E il giorno dopo in giro c'è rabbia e disperazione. Commercianti in lacrime, merce da buttare, sacchi pieni di roba marcia. Locali vuoti, le sedie accatastate, tutti si rimboccano le maniche per eliminare il grosso. Aspiratori, scopettoni, stivali e le mani in mezzo alla melma. «Qui è tutto da buttare - dice Sadia Passaggia dell'Erboristeria Armonie Naturali - avremmo danni per venti, trenta mila euro. Quando supera la barriera non c'è più niente da fare». Nel suo negozio lunedì notte nemmeno il bancone ha retto, si è staccato dal suolo e ha iniziato a ballare in mezzo all'acqua. «Queste scarpe sono tutte da buttare - dice in lacrime Beatrice Bugno della boutique Mori e Bozzi - qualcuno ci aiuti. Venezia sta morendo, ci sono famiglie e anziani che vivono al piano terra, stavolta è allucinante». «Hanno distrutto tutto - dice un residente per strada - rubato tutto». Le persone guardano allo scandalo Mose e al suo completamento. «Ho dei dubbi sul Mose? Sì certo - dice al Giornale il sindaco Brugnaro - ma ormai l'abbiamo realizzato al 95%. Finiamolo e facciamolo funzionare. Cerchiamo di capire le radici di questa tragedia, che deve unire le istituzioni, non dividerle.
Se mi chiama il presidente Mattarella, lo fa perché Venezia è fondamentale per rappresentare la credibilità dello Stato italiano».«Mai vista una devastazione come questa», ha detto Luca Zaia. E il premier Conte, in città, spera che i «danni non siano irreperabili».
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