Per un Federico D'Incà, ministro ai Rapporti con il Parlamento, che per certi versi si limita a ribadire l'ovvio, e cioè che «dove non siamo alleati, Pd e M5s potranno ritornare insieme ai ballottaggi», c'è una Chiara Appendino, sindaca uscente di Torino, che a La Stampa dice: «Qui il centrosinistra si confonde con il centrodestra». Suo malgrado, in mezzo c'è Giuseppe Conte. Il leader è il demiurgo della prospettiva di alleanza organica demostellata, allo stesso tempo però ha la necessità di fare buon viso a cattivo gioco per tenere insieme un partito in cui ancora convivono spinte diverse. E così Conte è costretto a frenare, pure di fronte allo scenario, da lui sempre auspicato, di una piena convergenza con il centrosinistra. L'avvocato rallenta e rispolvera la teoria delle mani libere. «Se noi non siamo andati in coalizione perché nelle proposte che erano state fatte non c'erano le condizioni, il ballottaggio non cambierà nulla», spiega dalla Campania. Le sue parole lasciano intendere che a livello nazionale le cose potrebbero andare diversamente. Soprattutto se a capo della coalizione giallorossa - indicato come candidato premier - ci sarà lui, il nuovo presidente del M5s, l'aspirante federatore di quel «fronte progressista avversario del centrodestra» promosso anche da Appendino per le prossime politiche. Solo che a Torino la porta è chiusa, a poco servono i mugugni di alcuni tra i dem e i Cinque Stelle locali. «Non mi sento garantita dal centrosinistra torinese», attacca la sindaca. Poi il paragone: «L'amministrazione Fassino e anche quella precedente su tanti temi si confondono con il centrodestra». Sotto la Mole pesano i rapporti ai minimi termini tra Appendino e Stefano Lo Russo, candidato del Pd e agguerrito oppositore della giunta grillina in Consiglio comunale. Ma comunque un risultato non all'altezza delle aspettative da parte di Lo Russo al ballottaggio metterebbe Conte in cattiva luce con il Nazareno. Stesso discorso vale per Roma, dove l'elettorato pentastellato è meno incasellabile. Nella Capitale il peso massimo del M5s è la Raggi, che però vuole capitalizzare il suo consenso tra gli ortodossi per imporsi a livello nazionale come l'alternativa a Conte alla guida del Movimento. Mentre Appendino è ancora sotto l'attacco del fuoco amico per la scelta di non ricandidarsi a Torino. Per lei è pronto un incarico nella segreteria del nuovo M5s, sempre se il mancato appoggio stellato a Lo Russo non porti alla vittoria del centrodestra. In quel caso gli equilibri potrebbero cambiare.
Sta di fatto che Conte non vede l'ora che finisca questa campagna elettorale. Troppo difficile spendersi per sfide perse in partenza, specialmente dove si corre in solitaria. L'unico sorriso potrebbe arrivare da Napoli, città in cui Cinque Stelle possono arrivare primi nei voti di lista. La metropoli meridionale, se vincesse Gaetano Manfredi, diventerebbe il crocevia del rilancio giallorosso, come ha fatto capire ieri in un post sui social Goffredo Bettini, gran cerimoniere dell'asse Pd-M5s. Nell'attesa a Conte non resta che baloccarsi con la difesa del reddito di cittadinanza. «Devono passare sul mio cadavere», ha detto di recente.
Il Rdc «è assolutamente indispensabile», il rilancio dalla tappa partenopea del tour. Tra chi vuole sposarsi con il Pd e chi vuole stare da solo, la battaglia sul sussidio è l'unico modo per provare a serrare i ranghi nel M5s.
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