Armi, Meloni apre alla Nato: spesa al 2% del Pil entro il 2026. Stallo infinito Roma-Bruxelles

Mes e balneari in cambio del Pnrr. Ma sulle forniture militari la premier tenderà la mano all'Alleanza anticipando il termine 2028.

Armi, Meloni apre alla Nato: spesa al 2% del Pil entro il 2026. Stallo infinito Roma-Bruxelles

Lo stallo alla messicana tra Roma e Bruxelles andrà avanti ancora qualche mese. Con i dossier Mes e balneari che tengono sotto tiro il delicatissimo capitolo del Pnrr, su cui Palazzo Chigi chiede da tempo una «revisione degli obiettivi» per il 2023 puntando sopratutto alla flessibilità e con l'obiettivo di utilizzare come vasi comunicanti le diverse fonti di finanziamento dell'Ue (spostando alcuni progetti dal Pnrr alla programmazione per la Coesione, che scade nel 2029 e non nel 2026).

Uno scenario di strisciante conflittualità. Anche perché sul Mes c'è un discreto fermento della Germania e dei frugali del Nord Europa, tutti infastiditi dalla mancata ratifica italiana (unico Stato dei venti della zona euro che manca all'appello, bloccando per tutti la possibilità di accedere a uno strumento che l'Ue considera decisivo per rispondere alle crisi bancarie). E pure sul capitolo balneari a Bruxelles non sembrano più disponibili a dilazioni, con la Corte di giustizia Ue che ieri ha bocciato l'Italia perché «le concessioni delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione trasparente».

Due dossier su cui Giorgia Meloni è consapevole sia necessario, di qui a pochi mesi, trovare un'intesa con l'Ue. Ma che ad oggi restano aperti anche per essere utilizzati in fase di trattativa sul Pnrr, un fronte che è centrale non solo nella politica del governo ma anche nelle prospettive di crescita del Paese. E su cui lavora da mesi il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, convinto che sia imprescindibile una «rimodulazione».

Se sui temi comunitari è evidentemente in corso un braccio di ferro (ieri è arrivata anche la «condanna» del Parlamento europeo a Ungheria, Polonia e Italia per la «diffusione di retorica anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtq»), sul fronte Atlantico l'Italia sembra essere invece pronta a tendere una mano. Peraltro, su un dossier così importante come le spese militari. Dopo un discreto braccio di ferro con Giuseppe Conte, infatti, l'anno scorso il governo guidato da Mario Draghi decise di spostare al 2028 il termine per innalzare al 2% del Pil la spesa per armamenti. Un capitolo su cui non siamo i soli ad essere in ritardo rispetto agli accordi dell'Alleanza atlantica. Nel cosiddetto «2% club», infatti, dei trenta membri aderenti alla Nato nel 2021 c'erano solo Stati Uniti (3,57%), Grecia (3,59%), Polonia (2,34%), Regno Unito (2,25%), Croazia (2,16%), Estonia (2,16%), Lettonia (2,16%) e Lituania (2,03%). Quasi tutti Paesi molto sensibili - geograficamente o politicamente - al conflitto in corso in Ucraina, una guerra aperta da Mosca con l'aggressione del 24 febbraio 2022.

Ad oggi l'Italia stanzia per la Difesa circa l'1,5% del Pil, come la Germania (dove il cancelliere Olaf Scholz ha però proposto di creare un «fondo speciale» di 100 miliardi di euro) e decisamente meno della Francia (che nel 2021 si attestava all'1,9% del Pil). Ma il governo italiano, raccontano fonti della Difesa, sarebbe intenzionato ad accelerare i tempi e anticipare - almeno al 2026 - il traguardo del 2% del Pil ad oggi previsto per il 2028. D'altra parte, sul punto la stessa Meloni non ha mai esitato. Esattamente un mese fa, lo scorso 21 marzo, nelle comunicazioni in Senato in vista del Consiglio europeo, la premier fu molto chiara: «Questo governo è abituato a difendere l'interesse nazionale.

Non abbiamo mai fatto mistero di voler aumentare gli stanziamenti in spese militari, come hanno fatto i governi precedenti, magari di soppiatto e senza metterci la faccia». E ancora: «Noi la faccia ce la mettiamo, convinti che rispettare gli impegni sia vitale per tutelare la nostra sovranità nazionale».

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