«Viva l'Italia, sempre un passo avanti». La sua voce, gentile ma ferma. Come sempre. Come se fosse ancora vivo. Invece Luca Attanasio è stato ucciso in Congo, il Paese che amava. Al pari dell'Italia, la sua patria. Ma Luca si sentiva in patria anche in Africa, dove però «qualcuno a lui molto vicino lo ha tradito o venduto»: questo il terribile sospetto espresso dalla moglie dell'ambasciatore ferito a morte lo scorso 22 febbraio in una sparatoria dai contorni oscuri; un agguato in cui hanno perso la vita anche il carabiniere Vittorio Iacovacci che faceva da scorta al diplomatico, e Mustapha Milambo l'autista del mezzo Onu su cui viaggiavano i nostri due connazionali. Un viaggio a Goma per una missione umanitaria che Attanasio aveva organizzando, preoccupandosi di avvertire le autorità governative di Kinshasa che però - inspiegabilmente - hanno sempre negato la circostanza. Ieri a smentirle è spuntato però il documento ufficiale con cui il diplomatico italiano formalizzava la sua comunicazione, chiedendo implicitamente che fossero prese adeguate misure di sicurezza. E invece sappiamo com'è andata. Dopo il funerale di Stato, ieri è stata la volta del rito religioso celebrato nel campo sportivo di Limbiate (Monza), il paese di Attanasio dove Luca era per tutti «uno di famiglia». Quando durante la messa officiata dall'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, l'altoparlante ha diffuso un lungo messaggio in cui Attanasio esprimeva «soddisfazione e gioia» per essere riuscito a organizzare i voli per trecento persone che volevano fuggire dalle violenze del Paese africano, la folla è stata scossa da un empito di commozione. Luca, per un attimo, sembrava essere tornato tra noi. Ma era solo la sua voce. Erano solo le sue parole. Immortali, come il suo esempio di uomo solidale e generoso. Un ultimo messaggio che equivale al suo testamento morale, di cui l'Italia può andare orgogliosa: «È con sollievo che vi informo che siamo riusciti a far partire con due voli 300 persone, tra le quali un centinaio di italiani, che erano bloccate in Congo e preoccupate per le violenze e la malattia - raccontava Attanasio - Tutte le nazionalità ci hanno chiamato. Erano settimane che non dormivo perché mancavano le autorizzazioni. Stamattina sono partiti tutti. Siamo felici. Siamo l'unico Paese ad aver permesso a qualcuno di lasciare il Congo, per questo ci hanno ringraziato tutti. Viva l'Italia, sempre un passo davanti!». Una registrazione da pelle d'oca. Che ha scatenato lacrime e applausi.«Caro figlio siamo distrutti dal dolore ma dobbiamo essere forti per stare accanto a Zakia e alle tre splendide nipotine», è stato il messaggio dei genitori di Attanasio, letto da un amico; i genitori di Luca.
«Ho conosciuto Luca quando è venuto a trovarmi prima del mio viaggio in Congo - ha ricordato l'arcivescovo di Milano - ma soprattutto ho avuto la testimonianza dei nostri missionari, della gente che ho visto in Congo che sentivano in lui un alleato». La salma dell'ambasciatore è stata portata tumulata nel cimitero di Limbiate. Sulla sua tomba i fiori non mancheranno mai.
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