«Lavoreremo tendenzialmente sempre dando priorità ai saldi di bilancio e facendo scelte politiche, è chiaro che dove mettiamo risorse le prendiamo da un'altra parte». Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ieri, durante la conferenza stampa di fine anno, ha ribadito che la tenuta dei conti pubblici resterà la stella polare dell'esecutivo. Una sorta di fil rouge che lega il premier al suo predecessore Mario Draghi. «Siamo in una situazione di grande emergenza: i provvedimenti energetici costano in media 5 miliardi di euro al mese. Se il quadro dovesse confermarsi cambiato, una parte delle risorse potrebbe liberarsi», ha aggiunto. Insomma, la priorità è il contrasto al caro-energia per le fasce più deboli della popolazione, tenendo presente che tutta la manovra 2023 è stata costruita dopo aver «tamponato la situazione» negativa rappresentata dall'aumento dei tassi che fanno salire il costo del debito. Proprio come aveva fatto chi occupava il suo posto prima di lei. «Misurarmi con persone capaci e autorevoli è stata la sfida di tutta la mia vita e Draghi lo è a livello nazionale e internazionale. Mi rendo conto dell'eredità», ha sottolineato sottolineando come «la staffetta» per l'esecuzione del Pnrr abbia funzionato.
Non a caso l'understatement è stata la cifra delle dichiarazioni del premier su un eventuale scostamento di bilancio. «Una scelta sofferta», ha chiosato confinando tale casistica nel novero delle remote possibilità. Il profilo politico di Meloni è emerso quando le è stato chiesto del Mes: l'Italia non ha intenzione di accedervi per via delle condizionalità applicate a chi richiede prestiti, ma il dialogo con Bruxelles per riformare in positivo tanto il Mes (sulla cui ratifica dovrà esprimersi il Parlamento) quanto sul Patto di Stabilità. Sul reddito di cittadinanza, invece, nessun passo indietro. «Il lavoro lo creano le aziende, lo Stato non può abbattere la povertà per decreto», la stoccata ai Cinque stelle.
E anche se l'orizzonte del governo è di 5 anni, il 2023 ha già un'agenda economica di tutto rispetto. «Sul tema della riforma fiscale noi intendiamo andare avanti», ha detto. In primis «il taglio del costo del lavoro: bisogna fare molto di più, l'obiettivo è il taglio di cinque punti». Il secondo è una tassazione che tenga conto dei componenti del nucleo familiare. «Il tema del sostegno alla natalità è una nostra priorità e il tema della tassazione deve andare in questa direzione», ha aggiunto. «E poi c'è il tema «più assumi e meno paghi», ha concluso riferendosi alla decontribuzione. La riforma del catasto? «Si può tranquillamente fare una mappatura per migliorare la conoscenza che abbiamo delle costruzioni italiane ma sicuramente da questo governo non arriverà mai un aumento della tassazione», ha assicurato rivendicando che «la casa è un bene sacro non pignorabile, non tassabile».
Ma non c'è stata solo la politica economica all'interno di quello che si può definire un compendio della Melonomics. Il premier ha toccato pure temi industriali e finanziari: dalla futura rete unica Tim-Open Fiber a controllo pubblico allo stop ai motori termici dal 2035, una scelta «non ragionevole» e «profondamente lesiva del nostro sistema produttivo». Un'annotazione, infine, pure sul dossier Monte dei Paschi.
«Una situazione gestita fin qui abbastanza pessimamente, decine di miliardi spesi a carico dei contribuenti», ha affermato rimarcando, però, che l'ultimo aumento di capitale da 2,5 miliardi ha consentito «una ristrutturazione solida» e che ora si lavora «per un'uscita ordinata dello Stato e per creare le condizioni per cui in Italia ci siano più poli bancari italiani». È probabile, tuttavia, che il destinatario delle critiche sia il direttore generale del Tesoro Rivera che da anni si occupa della vicenda.
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