Nino Materi
Mai viste tante bare in una sola chiesa. Allineate. Sono 40. Anche oggi. Come ieri. E ieri l'altro. Ma, purtroppo, anche come domani. E dopodomani. E chissà fino a quando. Siamo nel Tempio di Ognissanti a Bergamo. Trasformata in una camera mortuaria supplementare. Perché quella normale del cimitero cittadino e quelle dei vari ospedali sono al completo. La cartolina nera di Bergamo è tutta in questa immagine. Al tempo stesso tragica e di umana pietà. I parenti piangono. Tenendosi lontani. In attesa della cremazione dei loro cari. Morti. «Di» coronavirus o «con il» coronavirus fa poca differenza. Una fine (magari fossimo davvero alla fine) ineluttabile ora che Bergamo è diventata una «Covid-19 city» listata a lutto da 146 decessi, a oggi è la provincia più colpita di tutta la Lombardia. Oltre duemila contagiati: 2.136, 321 più di ieri. In appena cinque giorni. Tra gli infettati anche 50 medici e si conta una vittima pure tra i camici bianchi. L'ordinanza del sindaco Giorgio Gori parla di «ricevimento e custodia temporanea di feretri provenienti da strutture cittadine e provinciali».
C'è bisogno di tutto in questo momento a Bergamo. Massimo Giappone, direttore dell'Agenzia di Tutela della Salute allarga le braccia. Ma non è un segno di resa: «I bergamaschi sono abituati a rimboccarsi le maniche. Infermieri e medici in pensione ci hanno già inviato la loro disponibilità. Presto scenderanno in campo per dare il loro aiuto. Una solidarietà commovente». Il dottor Christian Salaroli, coordinatore degli anestesisti del Papa Giovanni XXIII, che a Bergamo non è solo il maggiore ospedale, ma anche un simbolo dell'efficienza cittadina, non ha remore nell'usare parole durissime: «Ormai siamo in guerra, le corsie sono come trincee, qui arrivano sempre più contagiati. Non solo vecchi. Aumentano anche i giovani. A tutti dico di stare a casa. In pronto soccorso abbiamo aperto uno stanzone che di solito che viene utilizzato per situazioni gravissime: si chiama Pefam, piano di emergenza per il maxi-afflusso. Abbiamo riempito anche quello. Siamo costretti a scegliere chi curare e chi no. È terribile ma è così. Ammettiamo solo pazienti con la polmonite da Covid 19 affetti da insufficienza respiratoria e li mettiamo in ventilazione non invasiva. Gli altri li rispediamo a casa».
Luca Lorini, direttore dell'Unita di anestesia e rianimazione, conferma: «Tanti nuovi ricoverati hanno un'età compresa tra i 40-50 anni. Si sono ammalati 6-7 giorni fa, hanno tentato di resistere, ma poi si sono dovuti arrendere. Ne ricoveriamo 5-6 al giorno. In terapia intensiva abbiamo 88 letti, al momento quasi tutti occupati da pazienti alle prese con il coronavirus, oltre la metà di loro è intubata. Dall'inizio del contagio ne abbiamo dimessi una decina».
Se in un giorno dell'era pre-virus i decessi «ordinari» registrati in città, potevano essere tra i 4 e i 5, ora la media è angosciante. Tanto che a Zogno il parroco ha deciso di suonare una sola volta le campane a morto, perché altrimenti i rintocchi funebri dovrebbero proseguire tutto il giorno.
I comuni infettati sono 244. I più colpiti sono Nembro, Alzano Lombardo, Albino. Come se il flusso del virus, dopo aver squassato la bassa Val Seriana, avesse puntato in due direzioni: da un lato Zogno e la Val Brembana, dall'altro la città. Sferrando un colpo micidiale al cuore di una Bergamo desertificata dal divieto di uscire di casa.
Da cosa è nato il focolaio orobico? C'è chi ipotizza «una sottovalutazione dei sintomi di alcuni pazienti che erano arrivati in ospedale addirittura prima che esplodesse l'allarme a Codogno».
Ma questo non è tempo di polemiche. Gli ospedali rischiano il collasso. Dal belvedere di Bergamo alta si vede il fumo dei forni crematori in azione senza sosta. È tutto, meno che un bel vedere. Qui si piange. E si prega.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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