Ultimi due giorni di lavoro, chiuso nello studio dei suoi avvocati, a limare, ad aggiungere, a ragionare. Ora Luca Palamara è pronto. E domani mattina depositerà al Consiglio superiore della magistratura l'atto che segna ufficialmente l'inizio dello scontro: la lista dei testimoni che il pm romano, ex leader di Unicost e ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, chiede che vengano interrogati dalla sezione disciplinare del Csm quando il 21 luglio inizierà il procedimento contro di lui, Palamara, e gli altri cinque magistrati sotto accusa. Sono i cinque ex membri del Csm che si sono dovuti dimettere l'anno scorso in seguito alla divulgazione delle prime intercettazioni sull'allegro mercato di nomine e di favori in cui le correnti dei giudici hanno trasformato il Consiglio superiore.
Nel frattempo, altre ondate di intercettazioni hanno dipinto un quadro ancora più devastante. Per questo la lista dei testimoni che verranno indicati da Palamara assume una importanza cruciale. Perché sarà una lista molto lunga, si parla di centoventi nomi: tutti necessari, secondo Palamara, ad accertare fin in fondo la trasversalità del degrado all'interno del Csm, la partecipazione di tutte le correnti al sistema; e soprattutto a capire come e perché sia iniziata l'inchiesta di Perugia, chi l'abbia ispirata e governata. Se non si capisce questo, dice Palamara, è impossibile valutare correttamente l'enorme mole di intercettazioni compiute dalla Guardia di finanza. Capirne il senso. Spiegarne i buchi, le alterazioni.
La mega-lista testi di Palamara mette la sezione disciplinare del Csm in una situazione apparentemente senza sbocchi. Perché se dice di no, come vorrebbe una parte del Csm, a quasi tutti i testimoni chiesti dall'incolpato, e riduce all'osso la lista, si presta all'ovvio sospetto di accontentarsi di una verità minimale, di voler insabbiare le responsabilità delle correnti che oggi chiedono la testa di Palamara dopo avere bussato per anni alla sua porta; e dà fiato alla tesi dell'ex presidente dell'Anm che ritiene - in sostanza - di pagare la sua opposizione alle manovre della sinistra sulla Procura di Roma. Se invece la sezione disciplinare accetta le richieste di Palamara, il processo che inizia il 21 rischia di trasformarsi in un processo a dieci anni di storia del Csm, in cui verrebbero a galla gli accordi sotterranei che hanno portato alla spartizione di tutti i più importanti uffici giudiziari del Paese, in combutta con le forze politiche e a volte con l'intervento diretto del Quirinale. Una catastrofe, insomma. E a rasserenare il clima a Palazzo dei Marescialli, sede del Consiglio, non contribuiscono di certo le ultime uscite di Palamara, che si dice pronto a parlare anche dei processi a Silvio Berlusconi e della loro gestione.
Il tema è reso bollente dalle registrazioni del giudice di Cassazione Amedeo Franco che descrive la condanna del Cavaliere per frode fiscale come un processo preconfezionato e diretto dall'alto. Ma il tema è più vasto, e riguarda direttamente anche il Csm: perché sul tavolo ci sono le promozioni a raffica disposte dal Consiglio per molte delle toghe che in questi anni hanno partecipato a vario titolo alle condanne dell'ex premier; ma anche, specularmente, il destino infausto dei pochi giudici che hanno firmato sentenze di assoluzione. A Milano, per fare un esempio, tutti i giudici che hanno prosciolto Berlusconi hanno dovuto, per un motivo o per l'altro, cambiare aria.
Che davanti a questo marasma, al Csm non sappiano più che pesci pigliare lo racconta bene anche il fatto che a dieci giorni dall'udienza ancora non si sa chi saranno i componenti della sezione, cioè i «giudici» di Palamara. Il vicepresidente del Csm, David Ermini, si è già dovuto tirare fuori perché anche il suo nome compare nelle intercettazioni. Piercamillo Davigo è stato ricusato da Palamara per alcune sue dichiarazioni che suonavano, secondo il pm, come una condanna anticipata.
L'altro giorno sono stati nominati alcuni membri supplenti, col rischio - denunciato dal membro laico Alessio Lanzi - che si costruisca un tribunale su misura. E insomma ancora non si capisce se tutto finirà con una formalità dall'esito scontato o se davvero il processo diventerà il processo a un sistema: come il processo Cusani fu per i partiti della Prima Repubblica.
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