«Sono stato un comunista emiliano. E non ho nulla di cui vergognarmi; anzi, ne sono orgoglioso» racconta al Corriere Stefano Bonaccini, governatore e aspirante (probabile) prossimo segretario del Pd. In un certo senso si tratta di una novità. È da Pierluigi Bersani che i dem non hanno un segretario che rivendica apertamente l'identità ex Pci. Renzi (ex Margherita), l'ex socialista Guglielmo Epifani, l'ex democristiano Enrico Letta, e prima ancora un altro dc, Dario Franceschini, tutti leader che non avevano alcun retroterra comunista, anzi in certi casi - vedi Renzi - hanno contribuito a far fuori la nomenklatura della vecchia Ditta, costretta a traslocare in un altro partito (D'Alema, lo stesso Bersani e compagni, che ora Bonaccini invita a tornare nel Pd).
Nemmeno Nicola Zingaretti, per quanto ex giovane militante del Pci, ha avuto mai l'ardire di definirsi un ex comunista orgoglioso («Non avevamo in testa le vicende sovietiche, piuttosto c'eravamo formati nel Movimento per la Pace e raccoglievamo le firme contro i carri armati sovietici in Afghanistan. Né tanto meno libri di Marx, di Lenin o persino di Togliatti», spiegò una volta). Invece Bonaccini, malgrado la svolta modaiola nel look con risvolti e occhiali a goccia, rivendica l'appartenenza alla storia dei comunisti italiani, che «hanno contribuito a liberare il Paese», dice, «e a fare dell'Emilia una regione tra le più ricche d'Europa, mentre nel '46 era tra le più povere d'Italia», un capitolo diverso rispetto al comunismo sovietico che invece «ha distrutto la libertà». Ora, che sia stato il Pci a rendere ricca l'Emilia, e non piuttosto la laboriosità degli emiliani, è una tesi ardita, come pure è opinabile la distanza del Pci dall'Urss, che ha sempre generosamente finanziato Botteghe Oscure. Il governatore emiliano ha comunque il merito di indicare chiaramente la strada, diretta a sinistra, del suo futuro Pd. È probabile che con il vuoto creatosi in quello spazio elettorale (e chi doveva occuparlo, Soumahoro?) il posizionamento di Bonaccini (peraltro già renziano ai tempi del renzismo nel Pd) versione restauratore del Pds e nostalgico del vecchio Pci, sia una mossa azzeccata. Che va anche letta in chiave congressuale.
L'altro giorno a Livorno si è fatto fotografare, postandola poi sui social, sotto la bandiera incorniciata del Pci «sezione Porto» della città toscana, con falce e martello oro su fondo rosso. «Provengo da una famiglia di iscritti al Pci. Lo ricordo guardando la bandiera che ho alle spalle - ha detto -. Bisogna essere orgogliosi di questo passato e di queste radici. Ma chi vuole riproporre una sinistra del Novecento sbaglia indirizzoi. Noi dobbiamo diventare un nuovo grande partito laburista». Altri leader non si espongono così direttamente, ma il comunismo resta nel dna della sinistra italiana, in forme più o meno esplicite. Il congresso Cgil a Bologna si è chiuso sulle note dell'inno sovietico («un errore»). I partiti che in Italia si richiamano, anche nel nome, al comunismo in Italia sono una marea. Da Rifondazione Comunista al Partito Comunista di Marco Rizzo, dal Partito comunista dei lavoratori dell'ex rifondarolo Marco Ferrando al Partito marxista leninista italiano, guidato da Giovanni Scuderi, più altre sigle anticapitaliste, trozkiste, inneggianti alla «resistenza» contro il sistema.
Nessuno alza un sopracciglio per l'esistenza di formazioni estreme che si ispirano ad un'ideologia che ha seminato violenza e morte, tantomeno la rivendicazione comunista di Bonaccini. Mentre si è scatenato un putiferio perchè Ignazio La Russa in una dichiarazione del 26 dicembre, ha ricordato l'anniversario della nascita del Movimento Sociale Italiano, nel ricordo del padre, tra i fondatori del Msi.
E quasi quotidianamente gli esponenti di Fdi devono giustificarsi e se possibile prenderne le distanze dalla loro storia. Vietato, per loro, non «vergognarsi» e sentirsi «orgogliosi» delle radici di Fdi. Vale solo per il Pci.
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