Il branco di Rimini confessa lo stupro. Tre minori africani nati e cresciuti qui

Due fratelli marocchini di Pesaro si costituiscono dopo la diffusione delle loro foto. In serata preso anche un nigeriano: sono tutti minorenni nati in Italia. Si cerca un congolese richiedente asilo

Il branco di Rimini confessa lo stupro. Tre minori africani nati e cresciuti qui

nostro inviato a Rimini

«Siamo stati noi». È il pomeriggio di sabato quando da Montecchio, un puntino nell'Italia dei borghi, arriva la svolta. Due fratelli, due ragazzi marocchini di 15 e 16 anni: sono la metà esatta del branco che sulla spiaggia di Rimini ha violentato una ragazza una polacca e ha riempito di botte il suo amico. Sono sempre loro ad aver violentato una transessuale peruviana nel corso di una notte brava che sembrava non dovesse mai finire. Confessano. Ammettono. Riconoscono le loro gravissime responsabilità.

È stata una settimana pesantissima per Rimini e per l'Italia intera, scossa da questi episodi bestiali, ma ora è finita o quasi. Un terzo complice, pure minorenne, cade nella rete in serata, il quarto, sui vent'anni, ha le ore contate.

Sembravano imprendibili e invece sapevano di non avere chance. La polizia, guidata dal questore Maurizio Improta, li braccava sempre più da vicino con un dispiegamento di forze eccezionali. Loro resistevano rintanati nelle loro case. Ma la mattina di sabato succede qualcosa che cambia tutto: i giornali pubblicano in prima pagina i fotogrammi drammatici che riprendono il quartetto fra nella notte fra venerdì e sabato scorsi: nel periodo intercorso fra la prima e la seconda violenza. Uno sciame di almeno quindici telecamere li ha immortalati in diversi momenti e con una certa nitidezza e ora quelle immagini cominciano a correre sulla rete, sui quotidiani, in tv. Ovunque. I due fratelli capiscono che la partita è persa, questione di tempo. Il loro destino è segnato, anche perché i due non sono clandestini o irregolari, non vivono di espedienti ai margini di qualche metropoli, ma stanno a Montecchio, un paesino fra le colline delle Marche, non lontano da Tavullia, dove è nato Valentino Rossi. E sempre nel territorio dello stesso comune, Vallefoglia, risiedono gli altri due componenti del gruppo autore di questi crimini spaventosi, dai dettagli irriferibili. Un nigeriano diciassettenne e un congolese di vent'anni richiedente asilo, probabilmente il capo della gang, ancora latitante.

Tre di loro sono regolari nati in Italia, figli di immigrati arrivati nel nostro Paese. È la seconda generazione, quella che in mezza Europa, è stata afferrata dal demone del terrorismo, ma queste riflessioni non passano per la testa dei giovani che decidono di anticipare i tempi. Si presentano alla caserma dei carabinieri del paese e confessano ai militari sbalorditi: «Siamo stati noi, non ce la facevamo più, ci sentivamo assediati». La polizia. I telegiornali. Il web. Basta. E poi un giovane che non abbia ancora oltrepassato la linea dei 18 anni se la può cavare, può limitare i danni, può cercare fra le pieghe del codice una possibilità preclusa agli over 18.

Ci vuole un'ora, grossomodo, da Montecchio a Rimini: i carabinieri li portano di volata alla procura della città romagnola. Arrivano i magistrati, viene chiamato d'urgenza il pm della Repubblica per i minorenni, si nominano gli avvocati d'ufficio. Iniziano gli interrogatori. Intanto, in simultanea, gli agenti della Mobile e i loro colleghi dello Sco, il servizio centrale operativo, catturano anche il terzo criminale: il nigeriano. Il sodalizio fra i quattro si è sfaldato, gli investigatori hanno ormai in mano una valanga di elementi.

Si cercheranno, con i tempi dovuti, tutti i riscontri possibili, ma il mistero non c'è più e la paura svanisce. La banda non è all'altezza della fama sinistra che l'ha accompagnata in queste ore. Lo spessore criminale del quartetto è modestissimo: uno è addirittura incensurato, gli altri hanno piccoli precedenti per furto e spaccio. «Niente di che», allargano le braccia i detective. Forse quella notte erano sotto l'effetto di stupefacenti. Chissà. Hanno agito con una furia indescrivibile, uno di loro gridava alla ragazza polacca, terrorizzata: «I kill you». L'hanno trascinata in acqua, semisvenuta, per farla rinvenire e riprendere lo stupro multiplo. I particolari sono atroci.

Ora sono loro a tremare e inevitabilmente inizia lo scaricabarile: sono stati gli altri a commettere le sevizie più brutali.

Le due vittime sono rientrate venerdì sera a Varsavia, ma la trans non è lontana e arriva a Palazzo di giustizia per il riconoscimento. Il sigillo sulla confessione. A Palazzo di giustizia si lavora fino a notte fonda. Poi il branco finisce in carcere.

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