Negli ultimi mesi abbiamo ascoltato una specie di litania anche un po' monotona: sul fronte economico il peggio è davvero passato. Molti, dal premier Gentiloni a Renzi, coinvolgendo pure un tipo piuttosto prudente come Padoan e diversi economisti, hanno continuato a ripeterci in tutte le salse che l'Italia non dovrà ora dilapidare quanto di positivo il Belpaese è stato capace di mettere in cascina negli ultimi mesi sul fronte della ripresa e della crescita del Pil, il Prodotto interno lordo. Come a voler dire, in un clima sempre più pre-elettorale, che il governo uscente ha fatto parecchio per ridare velocità ad una locomotiva tricolore che andava a scartamento ridotto. Musica per le orecchie di tanti signor Rossi che da tempo, da troppo tempo, stanno cercando di uscire dal tunnel di una recessione che ci ha messo in ginocchio.
Stavolta sembrava davvero la volta buona tanto che gli ottimisti hanno continuato a ripeterci un «leit motive»: siamo, addirittura, tornati ai livelli degli anni della «Milano da bere». E in molti l'hanno «bevuta» anche perché, a differenza del passato, stavolta la Ue è stata molto più conciliante. Peccato che, a smentire certi toni trionfalistici di Palazzo Chigi e dintorni, sono stati prima la stessa Commissione europea e poi l'Istat. In effetti, Bruxelles nel 2018 ha appena previsto per l'Italia una crescita solo dell'1,3 per cento, cioè la più bassa tra i 27 partner della Comunità monitorati: persino la tanto derelitta Grecia del «quasi default», registrerà un balzo quasi doppio (2,5). E, dopo il primo campanello d'allarme, è toccato all'Istat - che solo nel novembre scorso aveva rivisto al rialzo le stime della nostra crescita - denunciare qualche segnale di rallentamento nella prima radiografia appena pubblicata del nuovo anno. In particolare, l'indagine registra una flessione, sia pur piccola, nel clima di fiducia dei consumatori e delle imprese, una spia rossa che potrebbe scendere ulteriormente se, dopo il voto del 4 marzo, si dovesse anche aggiungere - tocchiamo ferro una grande instabilità politica.
Intendiamoci, non mi piace affatto vestire i panni della Cassandra di turno e, magari, vedere dappertutto le frenate economiche: spero, anzi, che le ultime previsioni più prudenti siano smentite dai fatti a stretto giro di posta, ma non è neppure corretto vedere tutto rosa e parlare di una grande svolta congiunturale che ancora non c'è, al massimo è ancora una «ripresina».
In momenti così delicati, dobbiamo essere il più possibile realistici per la semplice ragione che una campagna elettorale non deve essere portata avanti sulla pelle dei risparmiatori e non solo: è più che legittimo puntare sulla campagna elettorale e fare tante promesse sul futuro, è invece sbagliato mescolare le carte sulla congiuntura attuale. E, di questi tempi, attenzione alle «fake news» economiche.
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