Caccia grossa contro Renzi. Ma vince il round sulla Leopolda

I pm cercano nel telefono di Presta le prove dei soldi per la casa del leader Iv. La Cassazione smonta il caso Open

Caccia grossa contro Renzi. Ma vince il round sulla Leopolda

È un giorno double face per Matteo Renzi. Il Corriere della sera fa sapere che i pm di Roma hanno aperto i telefonini di Lucio Presta per cercare i finanziamenti sotto traccia all'ex premier. Ma nel pomeriggio escono indiscrezioni e stralci della sentenza della Cassazione sulla Fondazione Open e si capisce che l'ex premier ha vinto questo round contro i magistrati fiorentini. «La cosa più bella - afferma il leader di Iv - è che la Cassazione dice chiaramente che l'organizzazione della Leopolda non ha niente a che fare con l'organizzazione del Pd. Quindi cade il teorema di chi diceva che finanziare la Leopolda significasse finanziare la corrente di un partito».

Non basta. La Suprema corte dà un'altra bacchetta al tribunale di Firenze spiegando che il tribunale non solo si era allineato alle richieste della procura di Firenze, ma ne aveva copiato le parole: una per una, con esiti imbarazzanti. Il risultato è stato quello di «travisare l'analisi, di rilevanza decisiva, dei flussi finanziari della Fondazione Open». La cassaforte del renzismo chiusa nel 2018 e nel mirino dei magistrati toscani.

Insomma, se Roma avanza, Firenze arretra. E l'ex premier lascia filtrare un altro messaggio che descrive il suo stato d'animo: «Qualche tempo prima che si aprisse l'inchiesta su Open un importante giornalista di Rcs dice ad un parlamentare: non passare con Renzi perché ci sarà una valanga che lo porterà via».

E in effetti il partito dei giudici sembra aver trovato nell'ex sindaco della città toscana il nemico di cui era rimasto orfano, che prima era Berlusconi e prima ancora il «Cinghialone», Craxi. Un duello cominciato quando Renzi, saldo a Palazzo Chigi, aveva proposto di sforbiciare le ferie delle toghe, considerate un lusso ormai indifendibile. La proposta fu accolta come una profanazione nel sancta sanctorum dell'Anm. Sette anni dopo Renzi si è autodisarcionato e guida un partitino quasi pulviscolare ma è sempre un guastatore di razza e il regista della politica italiana, ha preso di mira il Guardasigilli Bonafede e le sue pulsioni giustizialiste, ha soffiato contro Conte e ha ispirato l'arrivo di Draghi, della Cartabia e della moderazione sul fronte della giustizia, firmando pure per i referendum.

Insomma, è l'avversario dei giudici o meglio di quell'ala militante, e corporativa, che non ha aggiornato il calendario ed è convinta di vivere sempre dentro una Repubblica giudiziaria. Oggi le battaglie sono più rarefatte, non siamo più ai tempi della demonizzazione di Craxi, il grande totem abbattuto da Mani pulite, e nemmeno alle mischie furibonde dell'era berlusconiana. Ma le coincidenze restano impressionanti: l'ex sindaco di Firenze attacca, i pm lo accerchiano.

Indagano lui e il suo cerchio magico, perquisiscono e spediscono avvisi di garanzia.

Pare di assistere a una replica fuori tempo massimo del duello ingaggiato da pezzi della magistratura contro il Cavaliere, ma allora le procure dettavano il metronomo della politica italiana, o almeno lo condizionavano, oggi assistono sgomente alla liquefazione di una nomenklatura immersa in una sequenza di scandali senza fine.

Il braccio di ferro però va avanti e per capirlo basta pensare alla costellazione di inchieste che hanno colpito i genitori dell'ex capo del governo e che ormai non fanno nemmeno più notizia.

Ieri il Corriere della sera svela che i pm della Capitale stanno studiando le chat di Lucio Presta: i finanziamenti del produttore al Renzi documentarista sarebbero in realtà la foglia di fico di contributi mascherati per aiutarlo a pagare la nuova, sontuosa abitazione.

Renzi grida alla persecuzione: «I miei genitori sono diventati a 65 anni Bonnie e Clyde»; poi incassa il successo sul fronte di Open: la Cassazione sottolinea infatti la «diversità ontologica fra partito e fondazione politica». Il teorema, forse, non c'è più.

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