Sono tutti colpevoli dei ritardi nella costruzione dell'autonomia energetica dell'Italia: Meloni, Salvini, Berlusconi, Letta, Conte. Tutti condannati tranne uno: Carlo Calenda. Chi è il giudice inappellabile? Sempre Calenda. Il leader di Azione si assolve in un video autocelebrativo in cui denuncia le giravolte dei capi degli altri partiti sulla questione energetica. Calenda rivendica di aver presentato nel 2017, da ministro dello Sviluppo economico, le soluzioni per la strategia energetica nazionale. Ma il filmato autocelebrativo omette le tante giravolte di Calenda. Ovvio, il leader di Azione le sta provando tutte per scansare la trappola del 3%. È terrorizzato dai precedenti. Nel 2013 Mario Monti (Terzo Polo) partì con 20% nei sondaggi, finì la campagna elettorale alla metà. I sondaggi per il Terzo Polo sono nerissimi. In picchiata. La campagna elettorale sta trascinando verso il basso (verso il 3%) la lista Azione-Italia viva.
Quindi Calenda cambia strategia e passa all'attacco. Cercando di radicalizzare lo scontro. Invoca lo stop alla campagna elettorale e picchia contro gli avversari: «Meno male. Almeno uno c'è arrivato. Dopo quattro giorni di insulti ma c'è arrivato. Chiamatelo armistizio o time out. È la stessa cosa. Vediamoci domani e proviamo a trovare un accordo per evitare il disastro». Però nella sua narrazione il leader di Azione dimentica tutte le sue giravolte. Sulla questione energetica l'ex ministro dello Sviluppo economico avverte: «Basta indugi: il rigassificatore di Piombino va realizzato in tempi brevi: è ormai una questione di sicurezza nazionale». Eppure c'è stato un tempo in cui Calenda e Bonelli erano sullo stesso fronte contro i rigassificatori. Erano gli anni in cui il primo guidava il ministero dello Sviluppo Economico, sia durante il governo Renzi, sia durante l'esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. E nel giugno 2016, Calenda cancellò dall'agenda di governo un altro rigassificatore, quello di Zaule, in provincia di Trieste, progettato dal gruppo catalano gas Natural dal 2004. Lo stop arrivò dopo un colloquio con Debora Serracchiani, all'epoca alla guida del Friuli Venezia Giulia, e dell'ex sindaco di Trieste, Roberto Cosolini. Calenda dichiarò: «Non è un'opera strategica».
D'altronde l'ex ministro che ora dà lezione di coerenza è stato un po' tutto: montiano, renziano, draghiano. Ma anche zingarettiano e lettiano. E poi si è scoperto macroniano. Ma ieri criticava il presidente francese. Oggi vuole il proporzionale. Ma prima agognava il maggioritario. Nel maggio del 2019 diceva: «Io non ho mai considerato Emmanuel Macron un punto di riferimento europeista». E poi ancora: «Sull'immigrazione Macron è uno che fa le stesse cose di Salvini, solo che le fa con il sorriso sulle labbra». E diventare macroniano per un politico esponente italiano - insisteva l'ex candidato a sindaco di Roma - era qualcosa di «provinciale». Oggi Calenda si candida a essere il portavoce del macronismo in Italia e in Europa.
Sulla legge elettorale, altra giravolta da capolavoro. Il pensiero attuale è: «Solo con il proporzionale si può fermare la destra. Dopo il voto Italia nel caos. Siamo per un sistema proporzionale con uno sbarramento al 5%. Saremo a favore del sistema dei Comuni, con doppio turno, ma nessuno lo vuole. Spezziamo un sistema che costruisce maggioranze che non possono governare».
Eppure all'assemblea di Confindustria del 24 maggio 2017, Calenda faceva un discorso che è un vero e proprio programma nazionale, con tanto di proposta di legge elettorale maggioritaria. La trottola Calenda gira senza soste.
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