Né dura, né morbida. La Gran Bretagna viaggia verso una Brexit «alla cieca» mentre il fronte dei contrari all'uscita spera e spinge per un secondo referendum che metta fine al caos e i fautori della hard Brexit tramano contro Theresa May, aiutati proprio dalla Ue. La blind Brexit (l'espressione è dello Spectator, il settimanale conservatore un tempo diretto da Boris Johnson) sembra descrivere meglio di ogni altra l'ignoto verso il quale veleggia il Regno Unito, ancora più da quando la premier May è stata rispedita a casa, dopo il vertice informale dei capi di Stato e di governo della Ue riuniti a Salisburgo, con una bocciatura del piano dei Chequers sul quale la leader del governo inglese aveva puntato tutto. «Non funzionerà, anche perché minerebbe il funzionamento del mercato unico» ha detto lapidario il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk». Il «momento della verità» è fissato per il 18 ottobre, data del Consiglio europeo entro il quale - spiega Tusk - «ci aspettiamo i massimi progressi e risultati. Allora decideremo se ci sono condizioni per convocare un nuovo vertice a novembre per formalizzare l'accordo» di uscita. In quale direzione lo aveva spiegato prima del vertice: «Sulla questione irlandese e sulla cornice per la cooperazione economica le proposte del Regno Unito vanno riviste».
Le istituzioni europee rifiutano l'opzione messa sul tavolo da Londra a inizio luglio: con il piano Chequers il Regno Unito vuole restare allineato alle regole del mercato unico nel settore manifatturiero e dei prodotti agricoli (quello dei beni), in modo da evitare il ripristino di controlli alla frontiera in Irlanda del Nord, ma intende uscire dal quadro della regolametazione europea sul fronte dello scambio di servizi, capitali e persone. Perciò la leader inglese era arrivata a Salisburgo con un aut-aut: via libera alla sua proposta oppure nessun accordo, no-deal, oltre che il rifiuto secco a un eventuale secondo referendum. È stata costretta a tornare a casa con le due fronde, quella degli hard Brexiters contrari a un'intesa e quella dei fautori di un secondo voto, più ringalluzziti che mai.
Il tempo scorre e il 29 marzo 2019, giorno dell'uscita della Gran Bretagna dalla Ue, si avvicina. Così la premier accenna in conferenza stampa a un cambio di rotta, assicurando che «dividere il Regno Unito è inaccettabile» ma che presenterà «a breve» una nuova proposta sul confine irlandese. Il cancelliere austriaco Kurz, presidente di turno della Ue, si era detto ottimista: «Sarà un processo difficile ma ho l'impressione che entrambe le parti siano consapevoli che una soluzione può essere trovata».
Diverso lo scenario descritto dal premier maltese Muscat, che sembra spiegare la linea dura della Ue: «Vorremmo che il Regno Unito tenesse un nuovo referendum». Nel frattempo emerge un nuovo piano per defenestrare Lady May ad aprile. E il Congresso Tory del 30 settembre si preannuncia incandescente.
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