A casa dell'assassino. Liti, droga e denunce. "Ma quale raptus, lui ci faceva paura"

Moussa viveva senza acqua e luce, tra i rifiuti. I vicini: "Spesso era strafatto"

A casa dell'assassino. Liti, droga e denunce. "Ma quale raptus, lui ci faceva paura"
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Cinque chilometri separano Suisio e Terno d'Isola. Quelli che il killer Moussa Sangare ha percorso in bicicletta la sera del 29 luglio per andare ad accoltellare Sharon. Quei due fazzoletti di terra, che fino a poco fa erano noti a qualcuno solo perché margini del triangolo dell'Isola bergamasca, oggi sono l'epicentro della cronaca nera. E si percepisce. Non solo per il via vai di forestieri arrivati in paese, chi per curiosità chi per lavoro, ma anche per l'atmosfera di un sabato inedito.

A Suisio, quasi quattromila anime sulla riva del fiume Adda, è un pullulare di voci finora rimaste silenti. Nei negozi, negli uffici, in strada. Ci si scambia parole di condanna e di incredulità. Nell'ultimo mese qui in tanti hanno seguito le cronache della limitrofa Terno d'Isola, ma nessuno pensava che il killer di Sharon vivesse proprio a Suisio.

Fuori l'abitazione occupata da Sangare c'è una certa aria di oblio, ma è dentro che gli inquirenti hanno trovato l'inferno: oltre a tre dei quattro coltelli che l'uomo aveva con sé la notte dell'omicidio e la sua bicicletta, c'erano bottiglie di birra ovunque, spazzatura gettata nei vani senza elettricità né acqua corrente e in condizioni igieniche allarmanti. Nell'appartamento sopra la stanza (pignorata e all'asta) che occupava abusivamente vivono ancora madre e sorella che qualche mese fa l'hanno denunciato per maltrattamenti. Le donne non vogliono parlare a nessuno. Ma in via San Giuliano si affaccia una vicina di casa, che quasi sollevata sembra poter finalmente dire a qualcuno: «Noi avevamo paura di lui. Dicevo a mio marito e a mio figlio di stargli alla larga. Era violento». Clotilda, questo il nome della residente, sembra sapere molte cose di Sangare: «Non era gentile, faceva violenza ai suoi familiari, alle tre di notte sembrava che venisse giù il soffitto. Non si deve parlare di un raptus». D'altronde la donna aveva denunciato diverse volte la situazione che lei stessa subiva sulla propria pelle: «Lo trovavo strafatto nel cuore della notte nel cortile, per salire a casa dovevo passare sopra di lui. Tutti sapevano. Ma qui deve succedere il fatto perché qualcuno intervenga».

A un tiro di schioppo, invece, l'animo della comunità è diverso: d'altronde a Terno d'Isola, dopo aver trattenuto il fiato per un mese, oggi finalmente si può tirare un sospiro di sollievo. Il killer non è uno di loro, non si vive più nel sospetto. «Siamo contenti che lo abbiano preso» è il leitmotiv che con un volto più disteso ribadisce pressoché ogni residente del paese. «C'era gente che in questi giorni non usciva più per la paura, soprattutto le donne» rivela qualcuno in piazza. Poco più in là, in via Castegnate continuano a spuntare fiori, ceri e santini. Qualche ora fa qualcuno ha lasciato anche un cartello. Sopra c'è scritto: «Giustizia è fatta».

Più in basso, a qualche centimetro dall'asfalto sul quale si è accasciata Sharon, una lettera: «Terno non è un posto sicuro sotto molti punti di vista. Ci sono persone che non pensano nemmeno una volta a ciò che fanno, spero la tua morte non sia stata vana. La tua famiglia è veramente forte, mancherà sempre qualcuno e quella persona sei te».

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