Quella cena "muta". Il giallo del trojan che spiava Palamara

Cantone: "Cimice spenta durante l'incontro con Pignatone". Ma spuntano dei tabulati

Quella cena "muta". Il giallo del trojan che spiava Palamara

Un trojan che la sera prima sta acceso fino alle ore piccole, intercettando ciò che sarebbe illecito intercettare; e che la sera dopo invece viene spento a metà pomeriggio, cosicché una conversazione cruciale per capire i misteri della Procura di Roma rimane inascoltata. E dietro l'ultimo mistero del caso Palamara aleggia un interrogativo cruciale: chi gestiva davvero il trojan inoculato sul telefono di Luca Palamara, potente ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati? La Procura di Perugia? Il Gico della Guardia di finanza? O, come pare dire una analisi tecnica, una società privata?

Il telefono di Palamara è stato aperto senza rilevare dove approdasse il trojan, e ormai il dato è irrecuperabile. Ma i consulenti di Luigi Panella, il difensore del deputato renziano Cosimo Ferri, intercettato insieme a Palamara, hanno trovato lo stesso trojan in un altro telefono. L'Ip (il codice identificativo) del server corrisponde a un indirizzo: Isola 5E del centro direzionale di Napoli. Non c'è nessuna sede giudiziaria né di polizia ma gli uffici di Rcs, l'azienda privata che ha fornito il software, e che ha sempre negato di avere trattato i dati.

Capire per quali mani siano passate le registrazioni compiute nelle notti bollenti del maggio 2019, quando correnti e lobby decidevano le sorti della Procura di Roma, aiuterebbe a chiarire l'ultimo giallo della vicenda. Ovvero quello che accade la sera del 9 maggio, quando Palamara va al ristorante Mamma Angelina, ai Parioli, a festeggiare il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, che va in pensione. La sera prima, il trojan ha registrato parola per parola l'incontro all'Hotel Champagne tra Palamara, Ferri, Lotti e altri membri del Csm, nonostante la Finanza sapesse bene che sarebbe stato presente un parlamentare. Invece che cosa si dicano alla cena dell'indomani Palamara e Pignatone non si sa, perché ufficialmente nelle ore dell'incontro il trojan era disattivato. Possibile? No, secondo i consulenti informatici della difesa di Ferri. Perché è vero che inizialmente il trojan era programmato per spegnersi alle 2 di mattino del 9 maggio.

Il Sistema
Ma alle 17,03 il sottufficiale della Finanza Dacunto riprogramma il sistema per continuare a registrare sino alle 02.00 del 10 maggio. Un altro sottufficiale, Correa, di lì a poco modifica ulteriormente, ma con una raffica di sei comandi in un secondo che non hanno nessun effetto. Mentre Palamara chiacchiera a cena con Pignatone, secondo i tecnici, il trojan registrava tutto.

Se fosse vero, e se davvero l'intercettazione fosse stata tenuta nascosta, l'intera inchiesta andrebbe riscritta. Ieri Raffaele Cantone, procuratore di Perugia, emette un comunicato per accusare i consulenti di Cosimo Ferri di avere preso lucciole per lanterne in base a una «interpretazione non corretta di alcune evidenze tecniche». Per Cantone «il trojan non ha registrato l'incontro perché non era programmato per l'orario in quella registrazione».

La difesa di Ferri è convinta della buona fede di Cantone e dei suoi pm: ma non demorde, convinta che la stessa Procura perugina possa essere stata vittima di manovre per deviare il corso dell'inchiesta. E recupera i tabulati della Rcs scoprendo che nella serata del 9 maggio, quando secondo Cantone il trojan non era programmato per funzionare, in realtà registra in continuazione.

L'ultimo progressivo, il numero 92, è delle 22,53, quando ormai Palamara e Pignatone erano all'ammazzacaffè.

(Coincidenze: alla cena da Mamma Angiolina c'è anche un altro magistrato, il giudice Paola Roja. Tre sere fa, la cassaforte di casa della Roja viene svuotata)

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