Chi divide l'Antimafia fa il gioco dei boss

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricorda che "la mafia può essere vinta perché dipende da noi"

Chi divide l'Antimafia fa il gioco dei boss
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Per un giorno (almeno) si torna a parlare di lotta alla mafia partendo dal ricordo delle 1.101 vittime della criminalità organizzata. Le mafie italiane sono un unicum nel panorama internazionale per il loro rapporto con il territorio, la capacità di affiliazione e di infiltrazione nell'economia legale, la violenza di cui sono state capaci (anche con la lettera maiuscola) nella battaglia con lo Stato italiano che ha visto soccombere anche molti esponenti delle istituzioni, magistrati, poliziotti e carabinieri.

Giustamente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricorda che «la mafia può essere vinta perché dipende da noi», un monito che si muove sul solco tracciato da Giovanni Falcone secondo cui Cosa nostra «è un fatto umano, e come tale avrà un inizio e una fine». Quel che sembra non avere fine è la strumentalizzazione politica che si fa della lotta alla mafia. Questo esecutivo può fregiarsi di aver arrestato il superlatitante Matteo Messina Denaro, tiene duro nella lotta alle organizzazioni criminali mantenendo l'impianto legislativo, sta provando a cambiare la narrazione del fenomeno, dialoga con la Procura nazionale Antimafia guidata da Giovanni Melillo alla quale ha indicato il pericolo che si annida nell'immigrazione apparentemente regolare dei click day su cui la mafia ha allungato i suoi tentacoli, combatte gli scafisti che nel Mezzogiorno trescano con le mafie del territorio, ha avuto il riconoscimento del procuratore di Napoli Nicola Gratteri, ha il merito di aver tenuto duro sul carcere duro e sulle confische a mafiosi, familiari e prestanome, ha avuto l'intuizione di ripartire dalle periferie come Caivano, provando a estirpare il male alla radice, con risultati che - lo dice chi in quelle periferie ci vive, come padre Maurizio Patricello - sono visibili e tangibili. Eppure è bastato dirlo, è bastato plaudire agli sforzi di Palazzo Chigi perché sul sacerdote si riversasse il solito odio da chi per quel quartiere e per quel prete eroe mai nulla ha fatto.

Mentre a Trapani la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo (nella foto) dichiarava il suo impegno «nella ricerca della verità che per troppe famiglie massacrate dalla criminalità organizzata è ancora un miraggio», l'associazione Libera diceva di riconoscersi «nel Manifesto di Ventotene», come a marcare una distanza con il premier Giorgia Meloni e le sue condanne: «Le mafie sono un nemico dichiarato della nostra democrazia, un'offesa alla dignità della Nazione». Don Luigi Ciotti sceglie di stare sotto braccio alla leader Pd Elly Schlein e agli ex procuratori nazionali antimafia Piero Grasso e Federico Cafiero De Raho, due ex magistrati oggi impegnati in politica contro il centrodestra. Cosa c'entri Ventotene con la lotta alla mafia non si comprende ma spaccare l'antimafia e il Parlamento (e la Chiesa) è una scelta legittima, per carità, che però nel lungo termine rischia di fare il gioco dei boss.

Come è avvenuto in carcere con l'allentamento graduale di alcune misure di sorveglianza che hanno reso le carceri un colabrodo e come rischia di succedere anche per il carcere duro, con una parte del Pd che si è sentita in dovere di discutere di un possibile alleggerimento del 41bis con l'anarchico Alfredo Cospito (che a sua volta ne ha parlato nell'ora d'aria con i boss galeotti) salvo poi schernirsi e invocare la magistratura quando è stata scoperta dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Errare è umano come la mafia, perseverare per fare un dispetto al governo è diabolico e pericoloso.

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