Non sono proprio felici. L'Europa finora li ha abbastanza delusi e anche la politica italiana, talvolta, pure. «Pensate che in Sicilia per la siccità gli allevatori hanno dovuto abbattere le vacche - racconta il segretario generale Vincenzo Gesmundo - con il costo di un solo pilone del ponte di Messina potremmo costruire 150 invasi». Però alla Coldiretti l'approccio antiburocratico e di difesa dei prodotti nazionali sostanzialmente piace.
La speranza è che la linea passi anche a Bruxelles. Basta con il Green Deal. «Il commissario Ue all'Agricoltura dovrà svolgere il suo incarico senza essere condizionato come in passato da quello all'Ambiente - avverte Ettore Prandini, presidente dell'associazione -. Vedremo se quanto promesso dalla von der Leyen nel suo discorso di presentazione corrisponderà alla realtà».
Il vicepremier Antonio Tajani vorrebbe che le competenze si allargassero al clima. Raffaele Fitto prevede «una maggiore flessibilità sull'applicazione delle strategie green» e Francesco Lollobrigida sostiene che «per merito di Roma in Europa sta passando l'idea l'agricoltura non è nemica dell'ambiente». E cita il Piano Mattei per sviluppare le coltivazioni in loco. Insomma il sogno verde europeo dovrà fare i conti con la realtà. Così, moderati da Bruno Vespa, i tre ministri e alcuni leader dell'opposizione assistono allo «sfogo tranquillo» di Prandini. Dalla riforma della Pac alle «pratiche sleali da combattere con la trasparenza», dalle etichette al principio di reciprocità fino alle semplificazione di norme complesse e astruse: la lista per l'Unione, compilata dall'assemblea dei coltivatori italiani, è un misto di principi generali e di indicazioni piuttosto pratiche. Soldi innanzitutto. «È essenziale - l'allarme di Prandini - che la nuova Commissione faccia salire il budget per l'agricoltura se vogliamo evitare che la produzione alimentare crolli, mettendo così a rischio i 620 miliardi di euro del settore favorendo le importazioni dai Paesi terzi». Guardiamo a Usa e Cina, impariamo dai nostri concorrenti «che garantiscono molti più fondi per sostenere i rispettivi settori». Qualche esempio. La Pac dispone di 386 miliardi, di cui 35 per l'Italia. Il Farm bill americano vale 1.400 miliardi di dollari e Pechino, grazie agli aiuti pubblici all'agricoltura, produce il 70 per cento in più di tutta la Ue.
Ma la chiave di volta sta nel principio di reciprocità. «Le regole imposte ai produttori europei devono valere anche per chi vuole vendere nell'Unione, altrimenti entriamo nel campo della concorrenza sleale». Da qui «la piaga del caporalato». Quando lo combattiamo qui, dice Prandini, «è doveroso perché criminale, quando succede all'estero non diciamo niente». E c'è di più, «oggi si spaccia per cibo italiano quello che italiano non è», senza che da Bruxelles abbiano da obbiettare. Per l'Italia il danno è gravissimo. Servirebbe l'obbligo del l'indicazione del Paese di origine sugli alimenti e una riforma doganale.
Preoccupa l'emergenza idrica. «Sono cinque anni che abbiamo presentato il piano invasi e tutti i governi che si sono succeduti si sono voltati dall'altra parte», si lamenta il presidente della Coldiretti. Ultima grana, la Mediterranea, l'associazione di filiera fondata da Unionfood e Confagricoltura.
«Dentro - per Gesmundo - ci sono le quattro principali multinazionali che vorrebbero omologare i prodotti. Sarebbe un passo indietro per la nostra agricoltura». Prandini annuncia una grande manifestazione a Parma. «No all'italian sounding. Ci batteremo affinché la materia prima sia sempre veramente italiana».
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