Ida Angela Nicotra, ordinaria di Diritto Costituzionale all'Università di Catania, spiega gli effetti positivi su cui potrebbe contare il nostro ordinamento con il premierato. Nicotra è solo una dei costituzionalisti favorevoli alla riforma voluta dal governo Meloni, evidenziando anche un effetto indiretto: la lotta contro l'astensionismo.
Professoressa, si fa un gran parlare dei possibili conflitti di potere tra il capo dello Stato e il premier, qualora la riforma venisse approvata. Hanno ragione i critici?
«Guardi che la procedura resta simile. Anche nell'attuale assetto ordinamentale, e nella prassi, il presidente della Repubblica adotta lo scioglimento delle Camere solo dopo aver sentito il presidente del Consiglio dei ministri. Com'è stato in passato, sarà in futuro. In caso di differenze di vedute, si potrà puntare sulla collaborazione tra i due soggetti. Ma rispetto al quadro odierno, non ci sono sostanziali divergenze».
Quindi nessun conflitto di potere. Ma a noi cittadini il premierato serve?
«Beh, in questa maniera scegliamo una delle possibili declinazioni dell'art.1 della Costituzione, che sostiene che la sovranità appartenga al popolo. Poi, eleggendo in via diretta il nostro premier, avremo anche la possibilità di rinsaldare il legame democratico e di combattere il fenomeno dell'astensionismo: così sarà molto più chiaro il motivo per cui i cittadini italiani devono recarsi alle urne. E anche che il voto è un diritto-dovere».
In Italia abbiamo una lunga storia di riforme costituzionali che non sono andate a segno.
«Sì ma spesso il limite è stata la complessità dei testi proposti, perché toccavano più ambiti e in maniera a volte estesa e disomogenea. Invece le riforme secche - vedesi il cosiddetto taglio dei parlamentari o quella a tema ambientale - sono passate eccome. Ecco, penso che nel caso del premierato l'argomento sia ben delimitato e che dunque le possibilità di successo della riforma siano più elevate. Vedremo poi se sarà raggiunta la maggioranza qualificata o se il testo verrà sottoposto a referendum».
La parola chiave resta «stabilità».
«Sì, senza dubbio. Per ora parliamo di una bozza, e vorrei sottolinearlo. Ma il risultato di questa riforma sarebbe quello di stabilizzare il premier nel tempo. Come del resto ritenevano i padri costituenti, un governo dovrebbe durare il tempo di una legislatura. E questo è il primo elemento cardine».
E gli altri elementi cardine della riforma quali sono?
«La riforma serve a mettere al centro il voto espresso dei cittadini. Viene sottolineato al massimo - mi ripeto - che andare a votare sia un fatto fondamentale. Questo effetto sarebbe ovviamente collegato all'elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri.
Inoltre, la cosiddetta norma anti-ribaltone consente di rispettare la volontà popolare, perché limita la possibilità di conferire l'incarico, in caso di sfiducia a un premier, o allo stesso premier o a un esponente della medesima maggioranza di governo. Questo sarebbe un ulteriore fattore in grado di risolvere un vulnus storico della forma di governo italiana, che è appunto un deficit di stabilità».
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