Dal reddito di cittadinanza al recupero crediti. Nel M5s e soprattutto fuori dal partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio tengono ancora banco le questioni finanziarie. Giuseppe Conte, tutto indaffarato nella «difesa dei poveri» che rischiano di perdere il sussidio, si trasforma in Robin Hood anche con i suoi, o meglio con chi lo aveva lasciato la scorsa primavera per seguire Luigi Di Maio, così chiede agli ex parlamentari grillini la restituzione del Tfr.
E lo fa con una clausola che sa di ritorsione nei confronti degli scissionisti. Infatti, secondo le bozze allo studio dell'avvocato di Volturara Appula, gli ex deputati e senatori non più iscritti al Movimento sarebbero tenuti a versare al partito di cui non fanno più parte una cifra che si aggira sui 30mila euro, mentre terrebbero per sé soltanto una minima parte del Trattamento di fine rapporto, una somma che ammonta a 15mila euro. Trattamento completamente diverso invece per gli esclusi dalla regola del doppio mandato, che però risultano ancora essere iscritti ai 5 Stelle. Parliamo di big come Vito Crimi e Paola Taverna, già assunti dai gruppi parlamentari a 3mila euro al mese, ma anche dell'ex presidente della Camera Roberto Fico o dell'ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Per chi non ha «tradito», Conte ha previsto uno sconto. Anziché 30mila euro, gli ex parlamentari fedeli verseranno nelle casse del partito contiano solo poco più di 8mila euro per ognuna delle due legislature.
Una mossa, quella dell'ex premier, che rischia però di fargli piombare addosso una nuova serie di ricorsi. Lo annuncia al Giornale Vincenzo Presutto, ex senatore eletto con il M5s e poi passato con Luigi Di Maio nella breve avventura di Insieme per il Futuro e Impegno Civico: «Guardi, se Conte vuole fare forzature e applicare norme discutibili ci mette nella condizione di chiedere trasparenza a 360 gradi sulla gestione del M5s da parte di Conte e prima ancora di Vito Crimi, questa sarà l'occasione per fare chiarezza, guidati da bravi avvocati». Ma chiarezza su cosa? «La validità della leadership di Conte è ancora sotto giudizio, ma non solo: noi non abbiamo potuto mai visionare i bilanci dell'associazione guidata da Crimi e poi da Conte e nessuno ci ha mai chiesto se fosse opportuno spendere una cifra che si aggirerebbe intorno a 12mila euro al mese per l'affitto della sede di Via di Campo Marzio, tanto per fare degli esempi».
Ma Conte deve vedersela anche con Alessandro Di Battista. Il «Dibba», seppur da battitore libero, gli fa concorrenza su manovra e guerra in Ucraina. L'ex deputato, alla presentazione del suo libro Ostinati e Contrari, definisce «gentiloniana» la legge di bilancio. Parla di periodo di «grande conformismo» e pressa l'avvocato di Volturara: «Sulle armi in Ucraina per fortuna hanno cambiato idea, dopo aver votato in passato i decreti. Ma fossi oggi un dirigente M5s non prenderei nemmeno un caffè con quelli del Pd». Il leader del M5s, nel frattempo, tira dritto. Con tutte le sue contraddizioni. Prendiamo l'ultima improvvisata dell'avvocato pugliese in quel di Torino. Conte fa il bagno di folla con i percettori del Reddito di Cittadinanza. E oltre ai selfie e alle bordate all'indirizzo del premier Giorgia Meloni, si concede un incontro agli Asili massonici torinesi. Trova ad accoglierlo il gran maestro Sergio Rosso, già numero due del Grande Oriente d'Italia.
Entrambi, il massone e il Masaniello, difendono il Reddito di cittadinanza. «Abolirlo significherebbe innescare un problema sociale senza precedenti. Una montagna di gente si troverebbe veramente alla disperazione», dice Rosso. Squadra, compasso e Cinque Stelle.
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