Conte rastrella i voti per lo scoglio Senato. E invita il centrodestra

Il premier convoca l'opposizione e spera nei "responsabili". Tre senatori passano a Iv

Conte rastrella i voti per lo scoglio Senato. E invita il centrodestra

«Quello che Salvini toglie alla maggioranza, Renzi lo rimette». A sera, da Italia viva parte il tam tam dei «responsabili»: Conte può tirare un sospiro di sollievo, il rastrellamento di voti in Senato è in pieno corso. Grazie all'ex premier dem.

L'annuncio ufficiale è che un senatore dell'opposizione, Vincenzo Carbone di Forza Italia, entra nel gruppo Iv e quindi in maggioranza. «Ma altri due sono in arrivo», assicurano i renziani. «La maggioranza torna attrattiva», si rassicura il capogruppo dem al Senato Marcucci. La tensione attorno al voto del 15 luglio, quando Conte riferirà in Parlamento sul prossimo Consiglio europeo e chiederà il voto su una risoluzione, si allenta. Sembrava il più grande spauracchio per il governo, con i grillini in pieno caos pronti a dire di no al Mes e a far saltare il banco. Ma di Mes, in quella risoluzione, non ci sarà traccia: si parlerà vagamente di «valutazione di tutti gli strumenti» messi a disposizione dalla Ue. E un drappello di «responsabili», tra Misto, Svp e transfughi, compenserà eventuali defezioni M5s. «I numeri ci sono ancora - giura Conte - e confido nel senso di responsabilità dei parlamentari». E intanto fa sapere di aver invitato ufficialmente le opposizioni, da Berlusconi a Salvini a Meloni, a discutere del «piano di rilancio del Paese».

Tutto a posto, dunque? Chi tiene i conti in Senato non fa trionfalismi: «I grillini sono nel caos, non si riesce neppure a trovare un'intesa sul rinnovo delle presidente di Commissione: l'incidente è sempre dietro l'angolo». Ma il premier confida nell'istinto di sopravvivenza di chi non vuole far saltare la legislatura. Così, ieri, si è presentato con piglio baldanzoso al question time della Camera, distribuendo gerundi su tutti i fronti: le tasse e l'ipotetico taglio dell'Iva? «Il governo sta lavorando ad un'ampia riforma del fisco che lo renda più equo e più semplice». L'Ilva? «L'elaborazione di un piano strategico siderurgico è un obiettivo strategico del governo, stiamo lavorando ad una nuova compagine societaria e valutando anche l'intervento pubblico». Il decreto semplificazioni? «Stiamo lavorando intensamente, nella consapevolezza che è la madre di tutte le riforme». Il Mes? «Ora ci stiamo concentrando sul Recovery fund. Sono concentratissimo».

Sgusciante come un anguilla, vacuo come un pastone politico della Rai, sinuoso come una pattinatrice artistica sul ghiaccio. Alla fine del minuetto nell'aula della Camera una sola cosa appare chiara: il ghiaccio su cui pattina il governo è sottile, la maggioranza è tenuta insieme dalla disperazione ma non riesce a trovare intese solide su quasi nessun tema e il timore di un inciampo che faccia ruzzolare tutti giù dal pero spinge a rinviare ogni decisione divisiva. Ma a Palazzo Chigi si confida nel calendario: spostando verso settembre le scelte difficili, si può sperare di passare indenni l'estate, arrivando all'autunno con un massiccio piano di aiuti Ue e l'esecutivo blindato dalla necessità di scrivere la manovra. Anche il Pd, dopo giorni di pressing perché il governo decida, a cominciare dalla spinosa questione Mes, ha iniziato a frenare: meglio evitare rese dei conti quando non si hanno alternative a disposizione. Così Zingaretti ieri ha innestato la retromarcia: «Finalmente qualcosa si muove sulle semplificazioni, è un segnale positivo». «I numeri ci sono ancora - giura Conte - e confido nel senso di responsabilità dei parlamentari».

In verità, l'ennesimo vertice convocato ieri sul decreto «madre di tutte le riforme» è stato comunque sospeso e rinviato a stamattina, anche se la maggioranza assicura che entro la settimana si verrà a capo del testo da mandare in Consiglio dei ministri. E persino su un caso eclatante come la feroce repressione cinese ad Hong Kong il governo Conte non riesce a dire una parola, mentre tutto l'Occidente condanna il regime di Pechino: Conte e Di Maio (sulla carta ministro degli Esteri) tacciono tremebondi. Tutt'intorno, gli interlocutori dell'esecutivo danno sempre più visibili segni di impazienza. Persino la Cgil, attraverso la Fiom, attacca l'attendismo su Ilva: «Dal premier solo affermazioni di principio, sembra di essere i protagonisti di quella vicenda in cui ogni mattina ci si sveglia e si rivive sempre il giorno precedente».

Dalla Ue arrivano avvertimenti sempre più secchi al governo perché dia garanzie di saper usare i fondi che reclama. E persino Romano Prodi tira le orecchie a Conte: «Il rinvio del Mes - dice l'ex premier - è il più grande messaggio di sfiducia che si può dare in questo momento».

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