"Contesteranno noi ebrei? Sono gli eredi di chi stava dalla parte di Hitler"

Intervista al rabbino capo Riccardo Di Segni: "La festa rischia di essere rovinata. Il nostro contributo fu enorme, mio papà partigiano"

"Contesteranno noi ebrei? Sono gli eredi di chi stava dalla parte di Hitler"
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Liberazione dalla schiavitù e liberazione dalle dittature. È vigilia di Pesach, la pasqua ebraica. E intanto ci si avvicina al 25 aprile fra grandi polemiche, per lo slogan «Cessate il fuoco ovunque» scelto dall'Anpi, che non ha voluto riferimenti alla democrazia, inducendo la Comunità ebraica di Milano a non partecipare come tale. Gli ebrei di Milano sfileranno sotto le insegne della Brigata ebraica, insieme agli ucraini, e agli iraniani.

Rabbino capo Riccardo Di Segni, che 25 aprile sarà?

«Per il ruolo che ho, preferisco parlare per sensibilità e storia personale, di cosa mi avvicina al 25 aprile; posso dire che in questa data l'Italia ricorda la vittoria dei partigiani sui nazifascisti. Non è la festa della pace, ricorda una guerra civile, purtroppo».

È un momento importante anche dal punto di vista religioso, per gli ebrei.

«Con la Pasqua celebriamo l'uscita dall'Egitto, la liberazione da una tirannia, è una festa liberazione e libertà, come tale vissuta per millenni. Durante la cena pasquale, il clou della festa, volta alla trasmissione della memoria, leggiamo un testo che è l'interpretazione rabbinica degli eventi biblici. E cominciamo la celebrazione con una domanda: che differenza c'è fra questa sera e le altre cene? La domanda oggi è: che differenza c'è fra questa Pasqua e le altre? Qualcuno stavolta lascerà una sedia vuota col pensiero rivolto ai rapiti da Hamas. In questa lettura ci troveremo a ripetere un'antica frase che oggi ha un nuovo significato specifico: In ogni generazione sorgono contro di noi per distruggerci, ma il Signore benedetto ci salva dalle loro mani».

Perché fa riferimento alla sua storia personale?

«I miei genitori, coi miei fratelli, dovettero scappare e rifugiarsi da Roma a San Severino Marche. Mio padre, medico, si unì a una formazione partigiana, fra le prime formate in Italia. Per tutto il periodo della Resistenza ha combattuto con questa banda partigiana, guadagnandosi la medaglia d'argento. Per me non è un discorso teorico, dunque, fa parte della mia storia personale».

Tutto il mondo ebraico dette un contributo rilevantissimo. Il suo predecessore, Elio Toaff, fu partigiano.

«Sì, Toaff lo fu personalmente. Il contributo degli ebrei fu enorme, sproporzionato rispetto all'entità numerica degli ebrei italiani. A Milano il comando insurrezionale era composto da un triumvirato: Pertini, Valiani e Sereni. Due di loro erano ebrei. Dovrebbe essere la festa mia, e la nostra, e ce la stanno rovinando».

Chi lo sta rovinando?

«Il problema è che mentre si affievolisce il ricordo si cerca di aggiungere altro, ma così facendo si va a una mitizzazione acritica, si sostituisce il ricordo con altro, si creano situazioni incresciose, tanto che in anni passati i reduci dei campi di sterminio sono stati fischiati e contestati».

Non è la festa della pace.

«Se vogliamo, della pace come risultato di una guerra, dell'abbattimento del nazifascismo. Beninteso, questo non vuol dire non riempirsi si dolore per le tragedie che le guerra comporta. Ma un irenismo generico non le risolve».

Sarà un 25 aprile senza le Comunità ebraiche e con la Brigata ebraica contestata.

«Non è una novità purtroppo, a Roma. Non abbiamo partecipato in passato per evitare incidenti. Non possiamo metterci sullo stesso piano sfilando insieme ai nipoti di quelli che allora stavano dall'altra parte della barricata. Arafat, capo dell'Olp, era nipote del muftì di Gerusalemme che aveva stretto un'alleanza con Hitler. Creare una mitologia confondendo le carte è cosa inaccettabile».

L'ultimo reduce della Brigata ebraica, Piero Cividalli, ha raccontato al Giornale che rinuncia a tornare in Italia per l'antisemitismo dilagante.

«C'è un grande disagio nelle nostre comunità per i messaggi che vengono lanciati, non c'è un vero esame critico di questi fenomeni, non si denuncia il desiderio di eliminazione di Israele».

Nelle Università le minoranze spadroneggiano.

«La versione sostenuta da queste frange è solo la metà della realtà, peraltro interpretata con parzialità. Dubito fortemente che coloro che manifestano siano disposti all'idea dei due Stati. Quello che vogliono è la distruzione dello Stato di Israele. Dal fiume al mare dicono. Ci troviamo di fronte non a forze pacifiste che lamentano le vittime di guerra, che certo sono un dramma al quale non siamo indifferenti, ma a forze che perseguono un progetto di rigetto della presenza ebraica in quell'area. Dietro agli aspetti propagandistici, la sostanza da decenni è sempre la stessa: l'eliminazione degli ebrei e dello Stato che li difende.

A proposito di memoria, altre parti della mia famiglia sono dovute scappare. Prima dal nazifascismo e poi dal comunismo, in Europa Orientale, e l'unica sponda è stata Israele. Questa storia non può essere ignorata il 25 aprile».

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