
Imbarazzo totale a casa Fratoianni. O meglio: nel box di casa Fratoianni. Dove è parcheggiata una Tesla fiammante, model Y (serie precedente al restyling di quest'anno). Prezzo al concessionario: si parte da 42mila euro (configurazione base, Iva inclusa). Ma non è il prezzo (non propriamente in target proletariato) a far arrossire Nicola Fratoianni e consorte, piuttosto l'ingombrante patron del colosso americano: Il Doge Elon Musk, braccio destro (teso) del pericoloso presidente degli States, Donald Trump. Oggi i radical chic se ne vergognano. Ma fino a poco tempo fa sfoggiavano con orgoglio questi costosi bolidi elettrici guardando con disgusto le utilitarie a benzina.
«La Tesla non è mia, è di mia moglie. Chiedete a lei!». Telefonare a Elisabetta Piccolotti, deputata Avs. Il retroscena (gustosissimo) è targato Il Foglio e fotografa bene l'innamoramento appassito per l'ex guru dell'elettrico, oggi fustigatore dei cultori della dottrina woke, dei pasdaran del politicamente corretto e della sinistra in generale. «Siamo rimasti fregati», racconta la Piccolotti. «L'abbiamo presa prima che Musk diventasse nazista». In sottofondo lo stridore dell'onorevole che s'arrampica sugli specchi. L'imbarazzo trasuda a ogni parola. «Quando l'ho presa era un altro momento».
La notizia deflagra. I social non perdonano. E la deputata si sente in dovere di difendersi con un video su Instagram. Titolo: «Tutta la verità sulla mia Tesla». Ovvero: cento e un modi per giustificarsi. «Prima di diventare parlamentare non ho mai avuto un'auto, giravo in bici». Poi la campagna elettorale per le europee e la necessità di avere un mezzo. Al Foglio dice di averla «pagata poco» (47mila euro), nel video corregge poi il tiro spiegando che costava «meno di altre auto con le stesse caratteristiche». Avanti col valzer del giustificazionismo. «Eravamo felici con l'auto elettrica. Ma ora...», spiega. «Ora, benché efficientissima, è un peso politico». E non si fatica a crederle. Anche perché ogni giorno Avs e Fratoianni sono lì a cannoneggiare contro Musk. Farsi vedere in giro a bordo di una quattro ruote che è un inno all'ingegno e alla lungimiranza di Mister Elon proprio non va bene. Soluzione? Venderla. Subito però è impossibile. «Il giorno in cui Musk ha fatto il saluto nazista ho deciso che, finito di pagare le rate del leasing, lascerò l'auto».
E nel frattempo? Come prendere le distanze? Come dimostrare agli italiani che li vedono scorrazzare sulla Model Y che sì, sono bravi ecologisti perché non iniettano gasolio nei polmoni dei pedoni ma no, loro non sposano le idee «naziste» di Musk? Ecco la sorella della Piccolotti correre in soccorso dei coniugi green. Un adesivo. Dove sta scritto: «L'ho comprata prima di sapere che Elon fosse pazzo». Regalo di compleanno, da appiccicare (ben in evidenza) sull'auto.
In America e pure in Europa queste forme di resistenza passiva spopolano tra i Fratoianni d'Occidente. «La verità è che siamo ostaggio delle Big Tech, delle tecnoligarchie che sostengono Trump», ci svela la deputata. E se lo dice lei, alziamo le mani.
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