«Non esserci sarebbe uno sgarbo istituzionale», dice al telefono con il Giornale uno dei legali che oggi sarà a Brescia con l'ex premier Giuseppe Conte e con l'ex ministro della Salute Roberto Speranza davanti ai magistrati del Tribunale dei ministri, che devono decidere se indagare i vertici del governo giallorosso per la mancata applicazione del piano pandemico, come ha ipotizzato la Procura di Bergamo che ci ha lavorato su per tre anni, contestando a entrambi i reati di omicidio colposo ed epidemia colposa per la gestione delle prime fasi dell'emergenza Covid. A difendere gli ex inquilini di Palazzo Chigi e ministero davanti all'organismo presieduto dalla giudice civile Mariarosa Pipponzi ci sono due mastini delle aule giudiziarie come Guido Calvi (per Speranza) e Caterina Malavenda (per Conte), segno che la partita è tutt'altro che in discesa per i due esponenti politici, al netto delle dichiarazioni bellicose sulla loro «totale estraneità» alle accuse.
Conte e Speranza non erano dei passanti, ma i dominus della strategia di Palazzo Chigi che ha portato l'Italia a essere - nonostante due lockdown - uno dei Paesi con l'indice di mortalità più alta. Frutto di scelte discutibili, come non applicare il piano pandemico del 2006. O improvvide, come far arrivare dalla Cina delle mascherine farlocche, sdoganate con un cavillo, ingrassando intermediari su cui indagano almeno tre Procure. Sulla pandemia, come sappiamo, ci sarà anche una commissione d'inchiesta voluta fortemente da Fratelli d'Italia su cui si registrano un casuale ostruzionismo proprio di Pd e M5s. Coincidenze, certo.
Fu colpa di scelte caotiche e disordinate se la Zona rossa tra Alzano e Nembro non venne mai chiusa, causando almeno 4mila morti secondo la perizia dello scienziato e neo senatore Pd Andrea Crisanti? O fu una deliberata scelta politica, e dunque immune per definizione a rilievi squisitamente penali? Alla tesi «innocentista» che fa più comodo all'esecutivo giallorosso, contenuta nelle settanta pagine di memoria difensiva depositata (e teoricamente secretata) che oggi Speranza proverà ad illustrare, finora non ha creduto la Procura bergamasca, secondo cui la condotta omissiva del governo ha cagionato morti evitabili. È vero che già qualche mese prima fonti di intelligence avevano sollevato la questione Wuhan, come farebbe capire Speranza sul suo libro Perché guariremo (sic) sparito dagli scaffali quasi subito?
Conte invece ha deciso di non depositare nulla: reclama la sua verità e confermerà di aver fatto il possibile nella gestione di «un momento complicato». Il Tribunale ha ancora qualche giorno per completare i propri accertamenti e infine decidere se archiviare o se chiedere l'autorizzazione a procedere al Parlamento. A quel punto il processo si farebbe con rito ordinario a Brescia. Agli sviluppi di questo filone sono interessati anche gli altri co-imputati per la gestione del Covid, dal governatore Attilio Fontana all'ex assessore Giulio Gallera, dall'ex capo della Protezione civile Angelo Borrelli al presidente dell'Iss Silvio Brusaferro, dal coordinatore del Cts Agostino Miozzo al numero uno del Consiglio superiore di sanità, il bergamasco Franco Locatelli. Se si arrivasse all'archiviazione sarebbe un via libera per tutti. Simul stabunt, simul cadunt.
Altrimenti in aula ci sarebbe il redde rationem: chi ha deciso cosa? E perché? Quando al presente, il piano pandemico è aggiornato? Siamo pronti a un'altra pandemia? L'ex Dg della Prevenzione del ministero della Salute Giovanni Rezza, ormai in pensione, dice di sì, ma poi aggiunge: «Anche il piano più perfetto del mondo non ha sostanza se non è sostenuto da scorte di materiali, come le mascherine, e da personale continuamente aggiornato». Un messaggino che pare indirizzato al ministro Orazio Schillaci, prima ancora che ai magistrati.
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