Quando il centrodestra (in testa il partito di Giorgia Meloni) si accorge di essere stato finito in un trabocchetto, è già troppo tardi. Il candidato di FdI per la vicepresidenza del Csm, Giuseppe Valentino è saltato, costringendo la premier ad una sostituzione a urne aperte con il giurista Felice Giuffrè. Che però non raggiunge il quorum: per lui si dovrà fare un secondo roundo di votazioni.
Nell'aula della Camera dei deputati ieri è andato in scena per diverse ore il caos, con lo scrutinio sui membri «laici» del Csm bloccato dall'improvviso sgambetto dei Cinque Stelle (seguiti a ruota dal Pd) sul nome dell'ex parlamentare Valentino, su cui solo poche ore prima avevano dato via libera. E con le linee telefoniche tra Palazzo Chigi e Montecitorio roventi, mentre si cercava una via d'uscita dall'inaspettato impasse, e mentre la premier -a poche ore dal successo d'immagine dell'arresto di Messina Denaro - si ritrovava alle prese con l'accusa di aver proposto un candidato indagato a Reggio Calabria.
Eppure la giornata era iniziata sotto i più rosei auspici: «C'è l'accordo, entro stasera chiudiamo la partita Csm», ripetevano soddisfatti in mattinata da destra e da sinistra. Ma la seduta a Camere riunite del Parlamento va in tilt a metà pomeriggio. All'ordine del giorno c'è l'elezione dei dieci membri laici del Consiglio superiore della magistratura, già rinviata due volte per mancanza delle necessarie intese trasversali (il quorum è molto alto, i tre quinti dei componenti di Camera e Senato). Le riunioni tra i partiti si susseguono da settimane, tra veti incrociati e fumate nere, ma nella serata di lunedì, per la prima volta, spunta la luce in fondo al tunnel. E ieri mattina arriva l'annuncio del semaforo verde, con tanto di elenco stampato dei dieci nomi da votare che passa di mano in mano tra deputati e senatori, accorsi in massa a Montecitorio alle 16 per lo scrutinio.
Peccato che i 5s, dopo aver dato solenne via libera all'intesa e dopo essersi assicurati che la maggioranza voterà il loro candidato, amico personale e collega di Giuseppe Conte all'Università di Firenze, tal Michele Papa, in aula fanno dietro front, e tirano fuori la carta che avevano tenuto nascosta nella manica: «Abbiamo forti dubbi sul nome di Valentino, ci risulta indagato», dicono.
Il Pd si allinea: «Se è così non possiamo votarlo»; il centrodestra cade dalle nuvole. Non paghi, con un ulteriore voltafaccia i grillini danno anche l'altolà al candidato del Terzo Polo, scelto da Matteo Renzi: è l'ex parlamentare Ernesto Carbone, avvocato e fedelissimo dell'ex premier. «Spero che questo convinca Giorgia Meloni che fare accordi con i 5S è autolesionismo: sono sempre inaffidabili», ripete Matteo Renzi in aula agli esponenti di Fdi.
Luce verde invece per gli altri candidati: Daniela Bianchini, Rosanna Natoli e Isabella Bertolini per FdI (che è l'unico partito a candidare donne), Fabio Pinelli (penalista veneto stimato trasversalmente e ora dato per favorito come possibile vicepresidente) e Claudia Eccher per la Lega, Enrico Aimi per Foi e il costituzionalista molto sinistrorso Roberto Romboli per il Pd. Sui telefonini dei parlamentari di centrodestra arriva lo stop: in attesa di chiarimenti, non si vota. Dopo frenetiche consultazioni, Valentino decide il passo indietro: «Per quanto vergognosa, inconcepibile e bugiarda nessuna palata di fango potrà mai scalfire la mia credibilità, la mia onorabilità e la mia onestà. Ritiro per questo motivo la mia candidatura al Csm». E viene sostituito dall'amministrativista Felice Giuffrè, ordinario di Diritto pubblico a Catania e trasversalmente molto stimato. «Lo avessero candidato subito, avrebbero fatto Bingo», ammette un esponente Pd.
Da Fdi non nascondono l'indignazione per la «operazione sporca» che sospettano sia stata ordita ai loro danni: «La nota onorabilità di Giuseppe Valentino non può essere intaccata da una macchina del fango a orologeria che solo un finto fronte 'progressista' può attuare», dice il capogruppo alla Camera Tommaso Foti. Mentre Manlio Messina denuncia le «gogne mediatiche che influiscono sulle dinamiche parlamentari».
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