Dagli anni Venti agli anni Ottanta passando da Balmoral

Emporio Armani esalta le spalle (per lui) e Prada celebra l'Art Nouveau

Dagli anni Venti agli anni Ottanta passando da Balmoral

Gli anni Venti del secolo scorso riletti in chiave moderna da Miuccia Prada e Raf Simons sono il massimo: un inno al sogno che non dimentica il bisogno. La comfort zone così necessaria in questo momento storico è data da una specie di tuta aderentissima (nome in codice «long johns») che brulica di stampe e motivi jacquard a prima vista indefinibili ma in realtà ripresi dal grandioso vocabolario dei segni lasciato da futurismo, decò, secessionismo e Art Nouveau. Il tutto con un gusto del colore tipicamente «pradesco» per cui confondi Balla con Mackmurdo e un paio di calze ti fa pensare allo jugendstil. Sopra a tutto questo arrivano l'abito con pieghe e arricciature, ma anche la tunica dritta e larga, una serie di magnifici tailleur a mezze maniche e i più bei cappotti che si possano immaginare oltre alle cappe portate come bomber e viceversa. Per la sera compaiono le paillettes in tutti i modi, tranne quelli dettati dalla banalità, anche grazie allo stile marziale degli accessori: scarpe e stivali con tacco grosso e plateau tinta unita oppure nelle stesse strepitose fantasie dei long johns. Di grandissima moda ma, a nostro avviso, tremendi i capelli pettinati con il taglio Mullet corto sopra, lungo sotto e appiccicati dal gel. Anche Armani per il suo Emporio guarda ai «roaring Twentyes» da cui prende solo alcune forme come la giacca piccola sopra agli ampi pantaloni a vita alta per lei che apre la sfilata con un magnifico cappotto blu carta da zucchero. Nella parte maschile dello show le forme sono mutuate dagli anni Ottanta: con quelle giacche dalle spalle squadrate che solo Armani sa fare con souplesse sugli impeccabili pantaloni di linea sciolta. Tutto questo è stravolto da un certo non so che di pop: lampi di colore nelle stampe effetto patchwork degli abiti in velluto, le note accese del viola e del rosa sul nero degli abiti da sera. Max Mara festeggia 70 anni di moda con una collezione bella da fermare un orologio. Il direttore creativo Jan Griffiths racconta di quando gli capitò d'intervistare Achille Maramotti sulle origini del brand e lui rispose che all'inizio voleva vestire le mogli dei medici e dei notai nelle città di provincia. «Sembrava un'idea poco ambiziosa anche se dentro c'è il concetto di classico» continua il designer inglese raccontando che poi le donne sono diventate a loro volta medici, notai e perfino vicepresidenti degli Stati Uniti ma hanno continuato a vestire il classico Max Mara. Inevitabile, quindi, pensare a The Queen, intesa come la mitica Elisabetta II, il giaccone trapuntato e la gonna scozzese nella brughiera di Balmoral, ma anche come simbolo di donna che nel tempo è diventata la regina per antonomasia. Stessa ispirazione per la deliziosa collezione di Borbonese presentata nell'incredibile duplex di Torre Breda, il primo grattacielo costruito a Milano. «Il futuro dell'eleganza sta nel rispetto del pianeta» dice Claudio Marenzi, presidente e amministratore delegato di Herno, marchio che presenta con Globe ben sette progetti di moda ecosostenibile. Ci sono i capi tinti senza prodotti chimici, il nylon biodegradabile, la lana riciclata che fa risparmiare il 73% di emissioni di anidride carbonica, l'84% di acqua e il 60% d'acqua, quella organica prodotta in allevamenti cruelty free e il nylon ottenuto riciclando le reti da pesca.

Fenomenale il lavoro di Daniele Calcaterra su tre colori (sasso, terra e olio) declinati con rara maestria sartoriale su un'immagine di donna della buona borghesia milanese tra gli anni '80 e '90. Com'eravamo chic quando non dovevamo fare i conti con i social media.

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