Prosegue il lungo travaglio della legge elettorale. Praticamente un anno fa (era il 4 dicembre) la Consulta dichiarò incostituzionale il Porcellum e il 18 gennaio 2014 Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si incontrarono al Nazareno per dare all’Italia, tra le tante cose, un nuovo sistema di voto. Da quelle due ore e mezza di colloquio ne uscì l’Italicum: premio di maggioranza del 15% alla coalizione che raggiunge il 37%, tre diverse soglie di sbarramento (4,5% per i partiti in coalizione, 8% per le forze non coalizzate e 12% per le coalizioni), e doppio turno. Oggi, dopo un turbolento iter parlamentare, rimane il doppio turno e il premio di maggioranza – che andrà però alla lista che raggiunge il 40% –, mentre la soglia di sbarramento abbassata al 3% fa felice i piccoli partiti (e Alfano). La legge è ancora da puntellare, con un orecchio ai dettami della Corte Costituzionale. La nuova impostazione migliora il vecchio impianto? IlGiornale.it lo ha chiesto a Roberto D’Alimonte, esperto di sistemi elettorali nonché padre dell’Italicum.
La nuova versione dell’Italicum è diversa rispetto a quella originaria uscita dal faccia a faccia al Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Quale preferisce delle due?
“La nuova impostazione, senza dubbio migliorata. Personalmente sono favorevole al premio alla lista e a soglie più basse. Ma in merito all’incontro tra i due leader c’è una cosa da dire. Sono due i patti in vigore: quello del Nazareno e quello di Palazzo Chigi, che ha modificato il primo in due elementi importanti”.
Quali?
“Allora, il cuore dell’Italicum – premio di maggioranza e doppio turno – continua a battere, ma ci sono dei corollari rilevanti che sono stati modificati: premio del 15% solo alla lista (meccanismo che semplifica tutto) e soglie più basse per entrare in Parlamento. Rispetto a questo secondo e molto discusso punto, l’8% per i partiti che corrono da soli era insostenibile, esponendosi peraltro a rischi di legittimità. E qui, volendo, si può parlare di un terzo patto”.
Che sarebbe?
“Quello tra Renzi e Alfano, che ha fatto scendere l’asticella al 3%. Poi, finché non vediamo nero su bianco le decisioni definitive, nulla è certo. La soglia potrebbe salire di un punto, non credo tocchi il 5%”.
Il nodo delle soglie è forse quello più difficile da sciogliere.
“Quando c’è un sistema elettorale come questo che si applica una camera sola e che è decisivo – perché chi vince ha la maggioranza assoluta – le soglie diventano quasi irrilevanti”.
Ci spieghi.
“Che in Parlamento ci siano due o tre partiti col 3% non cambia nulla; queste forze non sono più ghini di tacco, come si diceva nella Prima Repubblica. Il fatto che ci siano conta però ai fini della rappresentanza: è giusto che le minoranze abbiano diritto di tribuna, senza condizionare comunque la formazione e l’operato dell’esecutivo (che, speriamo, non avrà più bisogno di quel 3% per governare). Si deve mettere fine al trasformismo e allo sgretolamento delle maggioranze che escono dalla urne. Questo sistema elettorale concilia in maniera virtuosa governabilità e rappresentatività”.
Insomma, promuove la nuova legge elettorale. C’è però qualche riserva?
“C’è un punto debole. Non sono d’accordo sulla miscela – comunque ancora non definita – di capolista bloccati, voto di preferenza e candidature plurime”.
Ma questa nuova impostazione dell’Italicum è al sicuro dal rischio di incostituzionalità?
“Io sono molto critico nei confronti degli interventi, o meglio delle interferenze, della Consulta. Non sono un giurista, ma un sistema del genere soddisfa – perlomeno dal mio punto di vista – quei paletti fissati dalla Corte. I giudici costituzionali hanno utilizzato termini molto vaghi, sia sul premio che sulla lunghezza delle liste nel caso siano bloccate.
La Corte Costituzionale ha parlato di premio ragionevole: beh, per me è ragionevole un premio del 15%, così come una lista bloccata con sei nomi. Se vogliono arrivare a tanto, che ci diano dei criteri un pochino più rigidi per capire cosa sia ragionevole o meno”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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