Gira e rigira è sempre attorno al Viminale che si scanna la politica da tre anni, cioè da quando è iniziata la legislatura che ha già visto nascere tre governi (Conte 1, 2 e Draghi). La poltrona della Lamorgese è quella più contestata nella maggioranza attuale, con il pressing quotidiano della Lega di Salvini, suo predecessore al Viminale. E appunto l'eredità del leader leghista, prima alleato ora nemico di Conte e dei Cinque stelle, è oggetto di costanti attacchi da parte dei degli ex compagni di governo gialloverde e attuali compagni del governo Draghi. Con la sua ben nota amnesia selettiva Conte contesta l'operato del suo ex ministro dell'Interno, sui decreti che l'ex premier non solo ha firmato ma pure sbandierato con tanto di hashtag #decretosalvini e foto ricordo. Il Conte sovranista e filoleghista che prometteva di mettere fine al «business dell'immigrazione cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà» (così disse nel suo discorso programmatico del 2018) è stato rimosso per convenienza dal nuovo leader M5s, adesso anzi la politica del suo stesso ex governo, con Salvini al Viminale, diventa una stagione fallimentare: «I decreti sicurezza hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne. Salvini, da ministro dell'Interno, sui rimpatri e sull'immigrazione ha fallito» sostiene il nuovo Conte, che più di tutto teme le elezioni e quindi ha interesse a tenere vivo il governo Draghi di cui il M5s fa parte. Perciò è pieno di complimenti per la Lamorgese, che «è molto competente, sa come muoversi». Salvini replica, ospite di «Controcorrente» a Retequattro: «Vive male quel signore lì, evidentemente è triste perché c'è Draghi al suo posto...»
La guerra Conte-Salvini quindi si muove ancora all'ombra del Viminale, ma lo strascico è stato anche giudiziario. Il leader della Lega ha subito tre processi per le sue decisioni da ministro dell'Interno, condivise dal premier e dagli altri ministri chiamati a testimoniare a Catania, dove Salvini è stato accusato di sequestro di persona e infine prosciolto perché «il fatto non sussiste» e perché il suo modus operandi da ministro era «adesivo alla politica di governo in merito al fenomeno migratorio». Ma prendere le distanze dal Salvini ministro dell'Interno era una condizione indispensabile per giustificare la nuova opportunistica alleanza di Conte e del M5s, quella con il Pd nel governo giallorosso. E lo è anche adesso, in difesa della Lamorgese, per mostrarsi fedeli a Draghi e a Mattarella, l'artefice della riconferma della ministra, e allineati con il Pd con cui si lavora per una alleanza alle prossime politiche.
Sullo sfondo c'è sempre il ministero che governa la questione migranti, il cavallo di battaglia di Salvini, il tema che più di tutti ha fatto diventare la Lega primo partito nazionale. È una poltrona pesante che può catapultare verso incarichi ancora più importanti, come successe per Scalfaro e Napolitano, entrambi ex ministri dell'Interno poi saliti al Colle. Un ruolo chiave, delicato anche per le informazioni riservate a cui dà accesso. I ministri dell'Interno sono stati anche protagonisti politici, Alfano da lì ha guidato la scissione (malriuscita) da Berlusconi, Roberto Maroni la sua ascesa nella Lega con la fine dell'era Bossi (che ha sempre sospettato la manina del Viminale maroniano dietro le inchieste che lo hanno travolto), Scajola ci è inciampato per una frase infelice su Marco Biagi, Minniti proprio dal Viminale ha costruito buona parte della credibilità del governo Gentiloni con una politica migratoria più accorta. É un dicastero che, se gestito bene, porta consensi. Non è un caso che Salvini martelli quotidianamente la Lamorgese, e altrettanto faccia Fdi che - spiega il capogruppo Francesco Lollobrigida - «sta valutando una mozione di sfiducia nei suoi confronti». Per Salvini in più c'è l'imbarazzo di far parte di un governo che proprio sull'immigrazione non sta ottenendo successi. Di qui il pressing anche su Draghi. Il leader della Lega ha chiesto un incontro a tre, con la ministra, per chiedere un cambio di passo.
Ma anche chiesto che la delega sull'immigrazione venga data al suo sottosegretario, Nicola Molteni. In più per il leader leghista c'è l'idea di tornare a sedersi su quella poltrona. «Tornare a fare il ministro dell'Interno per controllare i confini? Lo farei domattina».
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