Depistaggi su Cucchi "I vertici dei carabinieri presero in giro il Paese"

Chiesta la condanna per gli otto militari alla sbarra. Il pm: "Non singole condotte isolate"

Depistaggi su Cucchi "I vertici dei carabinieri presero in giro il Paese"

Roma. «Un Paese intero preso in giro per anni». Dura requisitoria del pm Giovanni Musarò che ieri ha formulato la richiesta di condanna per gli otto carabinieri accusati di depistaggio sul caso Cucchi. A oltre due anni dal rinvio a giudizio, il processo entra nel vivo. Nelle udienze il pm ha ripercorso la drammatica vicenda del pestaggio che ha portato alla morte del giovane. Dal fermo in strada, alle botte in caserma da parte dei militari che l'hanno ammanettato, fino ai giorni in carcere e al ricovero in ospedale. «Un processo lungo e difficile - spiega il magistrato -, l'attività degli imputati è stata ostinata, a tratti definirei ossessiva».

A giudizio i carabinieri accusati di aver deliberatamente insabbiato l'inchiesta, mandando persino alla sbarra persone innocenti, come le guardie carcerarie accusate, poi scagionate, di aver picchiato Cucchi mentre si trovava a Regina Coeli. Sette anni per l'ex comandante del Gruppo Roma, il generale Alessandro Casarsa, cinque anni e mezzo al tenente colonnello Francesco Cavallo, ex comandante del Reparto operativo, cinque anni per il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Montesacro e per il carabiniere Luca De Cianni, quattro anni per Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, tre anni e mezzo per Francesco Di Sano, in servizio a Tor Sapienza, tre anni per Lorenzo Sabatino, un anno e mezzo per Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione Tor Sapienza. Interdizione perpetua dai pubblici uffici per Casarsa, Cavallo, De Cianni e Soligo, cinque anni invece per Di Sano, Sabatino e Testarmata. Per Labriola, il solo ad aver ammesso tutto, sono state chieste le attenuanti generiche. Casarsa, Cavallo, Colombo Labriola, Di Sano e Soligo sono accusati di falso, Sabatino e Testarmata di favoreggiamento, De Cianni di falso e calunnia.

«Una partita con carte truccate», giocata da un'intera catena di comando che ha deviato per ben nove anni le indagini sulla morte del geometra romano. Il quarto processo sul caso Cucchi. È il 15 ottobre 2009 quando il 31enne, in auto con un amico, viene fermato da una pattuglia dei carabinieri. In tasca alcune dosi di cocaina, quanto basta per essere portato prima alla caserma Appia, poi in camera di sicurezza alla stazione Tor Sapienza. Qui viene pestato a sangue. Calci e pugni, soprattutto quando è a terra, sulla schiena. Il giorno dopo la direttissima. Cucchi è accusato di spaccio. Ha difficoltà a parlare e camminare l'arrestato, ma il giudice non lo guarda nemmeno in faccia. Lo rinvia a giudizio e Cucchi viene rinchiuso nel vecchio carcere sul lungotevere. Sta male, non riesce a respirare, ha dolori ovunque. E peggiora di ora in ora. Ai familiari è vietato vederlo. Viene portato all'ospedale Fatebenefratelli che referta: lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, lesioni all'addome, emorragia alla vescica, fratture alla colonna vertebrale. Ma non viene ricoverato. Muore il 22 ottobre all'ospedale Sandro Pertini dopo 7 giorni di agonia: pesa 37 chilogrammi.

Nel primo processo alla sbarra gli agenti penitenziari: assolti. Un secondo processo per i medici del Pertini, nulla di fatto. In Corte d'Assise cinque carabinieri, tre accusati di omicidio preterintenzionale. Nella deposizione del carabiniere Francesco Tedesco emerge la verità sul depistaggio e la falsificazione dei documenti sullo stato di salute di Cucchi. Principale accusato il generale Casarsa.

La falsa annotazione di servizio è datata 26 ottobre 2009, scritta «per procurare l'impunità dei carabinieri responsabili di avere cagionato le lesioni». In una seconda nota Cucchi riferisce dolori sia per la temperatura che per la rigidità della tavola del letto. Anche questa falsa. A febbraio la sentenza.

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