Nei corridoi di Montecitorio lo chiamano Satanello. E mai soprannome fu più azzeccato. Energico, appassionato, romantico, futurista: Andrea Delmastro Delle Vedove non ha soltanto un cognome in più del normale, ma anche un temperamento di quelli che lasciano il segno. “Se deve rompere i coglioni, nel senso buono del termine, lo fa”. Per informazioni, potete chiedere a Roberto Fico e Mara Carfagna, che per tenerlo buono alla Camera faticano come Davide contro Golia. I suoi bersagli prediletti sono dj Fofò in arte Bonafede, Erdogan “il nano”, Speranza “i cui neuroni concepiscono solo chiusure”, la Boldrini quando fa “pipponi sul sessismo”, l’integralismo islamico e ovviamente quei membri del Cts che una volta in Aula disse di voler prendere “a calci nel culo”. “Porto in Parlamento l’anima profonda del popolo italiano - racconta lui al Giornale.it - e per farlo a volte bisogna preferire il linguaggio di verità ad un linguaggio consono. E dopo un anno in cui gli italiani sono stati incarcerati senza pena e senza colpa su suggerimento del Cts, beh: ce n’era a sufficienza per suggerire al ministro di cacciarli a pedate nel didietro”.
Classe 1976, avvocato biellese, Delmastro fa parte di quella Generazione Atreju che compone l’ossatura di Fratelli d’Italia di osservante fede meloniana. Ma è anche un figlio di tanto padre Sergio, già esponente di spicco della destra piemontese e deputato ai tempi di Alleanza Nazionale. Dal nonno al nipote, la politica è questione di famiglia ed è collegata da un filo rosso che parte dal Movimento Sociale Italiano. Padre e figlio si somigliano, molto. Anzi: chi li conosce assicura che il babbo in Parlamento fosse pure più tosto del figlio e i geni di solito non mentono. “Papà ne combinava una peggio di Bertoldo - racconta l’onorevole - Un paio di volte credo sia arrivato anche a provare l’esperienza del contatto fisico ravvicinato con gli avversari”. Se le telecamere di Montecitorio non fossero così distratte, probabilmente oggi agli atti della Camera ci sarebbero le prove di un episodio simile, molto più recente, che coinvolge anche il figlio Andrea. Possibile nessuno se ne sia accorto? “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
In fondo non sarebbe la prima volta. Appena arrivato all’Università di Torino, per dire, Delmastro si presentò ad un congresso della sinistra, si finse comunista e cercò di sostituire i cartelloni di Mao con altri di sua fattura con la foto di D’Annunzio. I “compagni” - ovviamente - provarono a massacrarlo di botte. Qualche anno dopo, era il 2004, la baruffa si ripeté all’ultimo congresso di Azione Giovani. Delmastro ci andò in sedie a rotelle, con una gamba rotta e i chiodi a tenere insieme i pezzi di ossa. “Sono così scemo - spiega lui - che oltre ad inneggiare alla velocità del futurismo l’ho anche praticata: infatti mi sono fracassato più di una volta sia in auto che in moto”. Quel giorno a Viterbo Giovanni Donzelli osò proporre una qualche mozione contro l’Islam e Delmastro, che a non era affatto d’accordo, cercò di avventarsi sul nemico nonostante le fratture. Potete immaginare le risate generali. Più recentemente, infine, il malcapitato antagonista è stato Roberto Fico: FdI aveva esposto in aula una lunga bandiera italiana e il grillino ebbe la malsana idea di invitare i commessi a strappare lo “striscione” dalle mani dei meloniani. Imbestialito, Delmastro la raccolse tutta, se la mise sotto il braccio e correndo come a rugby in Transatlantico si rifugiò in una stanza. I presenti assicurano che da dentro il suo rifugio gridò: “Fico! Non avrai mai il mio Tricolore!”.
Attenzione, però: quest’attitudine allo scontro non va confusa con la violenza. Né con velleità grilline tipo scatoletta di tonno. E neppure col poco rispetto per le istituzioni. Delmastro è come un fuoco che arde. Come una mitraglietta che non smette mai di parlare. È un irriducibile “guascone” che non puoi in alcun modo scindere dall’attività di partito. Un capomanipolo “provocatorio, irritante, urticante e irriverente”. Un animale politico innamorato della politica, quell’attività che “non è un’occupazione ma una necessità dell’anima”. Anche per questa sua passione “carnale”, i collaboratori lo definiscono “totalizzante”, “ingombrante” e sicuramente “leale”. Comunque un “ottimo leader” con una spiccata propensione a “rompere le palle”.
Qualcuno potrebbe dire sia diventato deputato per eredità paterna. Lui invece sostiene di aver fatto un “parricidio”, che a destra significa superare gli avi senza mai abbandonare il solco della tradizione. Il cursus honorum comunque se l’è fatto tutto: assessore comunale, assessore provinciale, dirigente nel movimento giovanile di An, militante nel Popolo delle Libertà. Che poi pensare Delmastro nel Pdl fa quasi ridere. “Ci avevo creduto - giura lui - ma il grande partito conservatore, popolare e di massa non è andato mai in porto più per colpa di Fini che di Berlusconi”. Quell’abito gli stava decisamente stretto, va detto. Ora invece FdI è un “vestito sartoriale fatto a pennello per la mia storia e il mio romanticismo”.
Quando infatti nel 2012 Giorgia Meloni fonda Fratelli d’Italia lui non ci pensa due volte a seguirla ritenendola come “una chiamata alle armi”, di quelle “cui si deve rispondere come Garibaldi col Re: obbedisco, e basta”. Il rischio fallimento era alto, a dire il vero. Ma per Delmastro FdI era “il posto migliore dove ricostruire la destra o comunque il più onorevole dove cercare la bella morte”. Alla fine la storia gli ha dato ragione: nel 2018 viene eletto alla Camera, è presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere e il partito sfiora il 20% nei sondaggi. Insomma: adesso Delmastro è felice. Si diverte. In Fdi è convinto di aver trovato quella destra italiana che si era persa, simile eppure così diversa dal conservatorismo europeo. Una destra sociale e con una vena anarchica.
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